Tuesday, March 18, 2008

Comuni-c-azione: il lavoro del mio primo convegno da comuni-c-attore per il Comune di Roma

Comune di Roma
Ufficio La città a misura delle bambine e dei bambini
Via Capitan Bavastro, 94
Atti del convegno "Piccoli Principi: Bambini e Comunicazione"
Zona celeste 22-5-97 - ore 14.30
IV Circ.ne - Via Monte Sacro 17 e/o Via Cervino 2
Autore: Maria Grazia Campanaro - educatrice - sociologa
Titolo del seminario: "L'ascolto attivo nella comunicazione adulto-bambino"


La tecnica dell'ascolto attivo parte dal semplice ma fondamentale presupposto che i bambini sono persone ed il suo scopo è quello di favorire una buona relazione tra l'adulto educatore ed il bambino. Spesso l'educatore anche se motivato a dare il meglio, non è stato preparato a comunicare efficacemente. Questa tecnica mette in evidenza l'importanza di una corretta comunicazione ed illustra le modalità del linguaggio dell'accettazione.


L'ASCOLTO ATTIVO NELLA COMUNICAZIONE ADULTO-BAMBINO

"In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno" disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi; ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, "sono così triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata"....
"Che cosa vuol dire "addomesticare"?"
"E' una cosa da tempo dimenticata.Vuol dire "creare dei legami"..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi adomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo!"
"Comincio a capire", disse il piccolo principe. "C'è un fiore...credo mi abbia addomesticato..."(1)

Il nostro presupposto di base consiste nella consapevolezza della funzione vitale espletata, a livello dello sviluppo dell'individuo, dalla "conferma", intesa come riconoscimento reciproco del sè. Io esisto solo se questa mia esistenza ha un valore, sia positivo che negativo, per l'altro significativo, e solo se a mia volta confermo l'altro come se. Virginia Satir definisce relazione sana quella relazione in cui c'è la conoscenza e l'accettazione di sè, dei propri bisogni, desideri, emozioni e c'è la consoscenza e accettazione dell'altro come autonomo, diverso ma non inaccessibile. Michele muove i suoi primi passi cadendo ripetutamente e magari rompendo qualche oggetto. E' come se dicesse: "Mi vedo come chi è in grado di camminare da solo". Se l'educatore lo ferma invia il messaggio: "Ti vedo come chi non è in grado di camminare da solo", che equivarrebbe ad un rifiuto della definizione del sè che Michele si stava dando. Se l'educatore gli tende le braccia è come se dicesse: "Ti vedo come chi ha bisogno di aiuto per camminare, ma è capace". Per sapere se è grande o piccolo, capace od incapace, Michele dovrà avere una risposta alla definizione che dà di sè, dovrà avere una conferma all'immagine che ha di sè. Il veicolo attraverso il quale tutto questo è possibile, attraverso il quale si "creano i legami" di cui parla la volpe e si svolge il "gioco" della definizione della relazione e della "conferma" è la comunicazione. Proprio come è possibile parlare una lingua correttamente e con scorrevolezza pur non conoscendono affatto la grammatica, così tutti obbediamo alle regole della comunica­zione, ma le regole stesse, la "grammatica" della comunicazione sono qualcosa di cui non siamo consapevoli. Per comprenderne meglio le implicazioni e le modalità di manifestazione ne riassumiamo brevemente gli assiomi. Non si pùo non comunicare: qualsiasi comportamento venga messo in atto, non può non comunicare un significato e, attraverso la emissione e la ricezione di una serie precisa di informazioni, rappresenta un messaggio per gli altri. L'informazione, unità di misura della comunicazione, può passare attraverso i canali di comunicazione verbale e non verbale, ed è sempre condizionata, nel suo significato, dal tipo di contesto nel quale viene trasmessa, e dalle coordinate spazio-temporali che la includono. Con una serie di informazioni vengono inviati dei messaggi che implicano contemporaneamente due livelli logici diversi: un livello di "contenuto" ed uno "di relazione. Quando invio un messaggio, comunico un contenuto, e allo stesso tempo comunico come questo contenuto debba essere inserito all'interno di una relazione, quale è la proposta della posizione reciproca dei contraenti all'interno della relazione stessa. Abbiamo due proposte di posizione reciproca: le due persone impegnate possono definirsi in termini di uguaglianza (simmetria) e di disuguaglianza (complementarità). Facciamo un esempio: se una persona indicando il disegno di un bambino chiede: "L'hai fatto tu questo dise­gno?", il contenuto della sua domanda è una richiesta di informazione su un oggetto. Ma contemporaneamente ella da la propria definizione della relazione. La maniera in cui pone la domanda (l'espressione del viso, il tono di voce ) potrebbe indicare ammirazione o sottovalutazione, affetto o altro. Il bambino può reagire con sicurezza o difendendosi, ma in nessun caso non può non rispondere, anche stando in silenzio, al messaggio di relazione. Tornando all'esempio su esposto è importante mettere in rilievo che sul piano del contenuto (autenticità del disegno) le due parti comunicanti possono essere o non es­sere d'accordo, ma questa parte della loro interazione non ha alcun rapporto con la defi­nizione reciproca della natura della loro relazione. Laddove sul piano del contenuto, per quanto possano continuare a parlare del disegno, la comunicazione produrrà accordo o disaccordo, sul piano della relazione, si manifesterà come comprensione o come incom­prensione. Sono questi due fenomeni essenzialmente differenti: due comunicanti possono essere in disaccordo su un'affermazione ma comprendersi l'un l'altro come esseri umani e viceversa, come pure possono essere d'accordo e comprendersi l'un l'altro o fallire ad en­trambi i livelli. A questo punto diventa importante evidenziare che per un educatore è fondamentale sa­per inviare messaggi efficaci sul piano della relazione, che veicolino accettazione e non rifiuto. Molti conflitti, sono dovuti a dei malintesi, e si risolvono quando le due parti riescono a comunicare stabilendo e ricontrattando nuove regole di relazione. Il conflitto non è di per sè patologico, anzi contiene gli elementi che porteranno ad un nuovo e pià soddisfacente adattamento reciproco. Facciamo un esempio-prova.

Scrivete su un foglio di carta ciò che direste ad un bambino al quale avete chiesto di mettere a posto i giocattoli e che vi ha risposto: "No...Giovanni (indicando un altro bambino ) non mette a posto.." . Immaginate poi che, frustrato perché invece di occu­parvi di lui vi dedicate agli altri bambini, si metta a urlare: "Brutta e cattiva...". Che di­reste?
Prendiamo spunto da questa situazione per riflettere su come l'adulto non deve reagire se vuole inter-agire positivamente con il bambino.

1)DARE UN ORDINE
Dire al bambino che deve fare qualcosa, comandargli o imporgli una cosa:
"Quello che fanno gli altri bambini non mi importa. Metti immediatamente a posto!
"Ti proibisco di parlare alla tua educatrice in questo modo!"
I sentimenti, i bisogni del bambino non vengono presi in considerazione, egli si sentirà quindi non capito.

2) AVVERTIRE, MINACCIARE
Parlare delle conseguenze che avrà il suo gesto:
"Se non metti a posto i giocattoli vai subito a letto."
Il bambino, avvertendo l'ostilità dell'adulto è portato a contrattaccare oppure ad ubbidire senza convinzione.

3) MORALIZZARE, PREDICARE
Dire al bambino cosa dovrebbe fare, esortarlo a seguire determinati obblighi:
" Tu sai quello che devi fare, non è bello comportarsi così"
Il bambino si sente colpevolizzato ed irresponsabile.

4)FORNIRE SOLUZIONI
Dire al bambino come agire, sostituendosi a lui fisicamente:
"Prendi questo pupazzo e mettilo in quella cesta, poi prendi ..."
Ciò porta, se il bambino è in difficoltà, alla svalutazione di sè e alla dipendenza.

5)PERSUADERE CON ARGOMENTAZIONI LOGICHE
Cercare di convincere il bambino con fatti o contro-argomenti:
"Anche Giovanni fa male a non mettere nella cesta i pupazzi, guarda invece Luca ..."
"La cosa migliore che tu possa fare è quella di mettere al suo posto il materiale, prima di prenderne altro."
Questo messaggio umilia il bambino che si sente inferiore ed incapace.

I messaggi espressi in queste cinque categorie, vengono definiti da Gordon di "soluzione". L'adulto trasmette al bambino che deve comportarsi diversamente e gli sug­gerisce il modo.

6) GIUDICARE, BIASIMARE, CRITICARE:
Esprimere un parere negativo :
"Sei pigro e svogliato, sei tornato lattante."
"Sei il solito disordinato!"
Le critiche negative minano la sicurezza e la fiducia in sè, più sono frequenti e maggiore è il danno che ne deriva.

7) ELOGIARE, APPROVARE
Esprimere dei giudizi positivi immeritati:
"Sei simpatico, va bene, non fa niente..."
"Sei così bravo a fare tante cose, cerca di essere anche ordinato"
I complimenti e gli incoraggiamenti immeritati, così come le critiche, possono ferire il bambino che li sente falsi e come mezzo di manipolazione.

8) RIDICOLIZZARE, UMILIARE
Far credere al bambino di essere stupido, prenderlo in giro:
"Sei un piccolo maleducato, hai la bocca che sembri un pellicano"
Il bambino capisce l'ironia del messaggio e si sente offeso della mancanza di sensibilità dell'educatrice.

9) ANALIZZARE, INTERPRETARE, DIAGNOSTICARE
Dire al bambino i motivi per i quali agisce così:
"Dunque sei invidioso di Giovanni."
"Tu fai così perché vorresti che ci occupassimo di te ."
Se l'educatrice ha interpretato bene, il bambino si sentirà scoperto e indifeso, se invece ha sbagliato, si sentirà inutilmente offeso e umiliato.

10) CONSOLARE, ELUDERE IL PROBLEMA
Cercare di distrarre il bambino dalle sue sensazioni:
"Va bene, lascia stare, vai a giocare con Valentina."
Il bambino sente che viene accontentato ma non accettato e che c'è in lui qualcosa di sbagliato.

11) INTERROGARE
Cercare di trarre ulteriori informazioni:
"Non hai altri esempi che Giovanni?"
"Ma dove hai imparato a dire queste cose?"
Il bambino si sente sottoposto ad un interrogatorio e finisce col chiudersi "

12) SCHERZARE
Cercare di sviare, far disperdere il problema:
"Se non ti sta bene, scrivi una lettera all'assessore."
In questo modo si fa capire al bambino che il suo problema non è importante, che ci sono cose o altre persone che meritano più interesse di lui.

E' comprensibile che ordinare, minacciare, umiliare, da una posizione decisamente one-up, che sovrasta l'altro con lo stile educativo del piedistallo, quello autoritario, lasci espe­rienze negative nei bambino. Ormai si è appreso che un tale stile educativo porterà a sot­tomissione acritica o ad opposizione. La maggior parte delle persone sanno che un tale stile educativo crea una grande distanza, che i bambini si sentono sotto pressione e im­prigionati. Nel gruppo saranno spesso isolati rispetto agli altri bambini, dato che si creerà un clima di competizione egoistica tra di loro e soffriranno di tensioni, che pos­sono es­sere trattenute solo per un certo periodo. I bambini reagiranno tra loro con scorte­sia, minacce ed aggressioni. Questo modello educativo impedisce, è ormai risa­puto, l'autosufficienza e "prepara" i bambini a sottomettersi senza alcuna critica alle sup­poste autoritàSembra incomprensibile però che fornire soluzioni, ricorrere ad argomentazioni logiche, consolare, interrogare, scherzare risultano sbagliate. Occorre riflettere che anche elo­giare, quando il bambino non si sente degno di elogi, può essere percepito come segno di falsità. Ciò che in una relazione sana è ammesso non lo è in una relazione problema­tica. Un bambino particolarmente sensibile può essere ferito anche da un complimento.

EFFICACIA DEL MESSAGGIO-IO

I messaggi delle 12 categorie hanno un aspetto in comune: esprimono un giudizio su chi li riceve. Possono essere chiamati "messaggi del tu". Veicolano una comunicazione inef­fi­cace perché provocano ribellione ed atteggiamenti difensivi. I messaggi-io", sono quelli che esprimono il sentimento di chi trasmette. Non esprimono alcuna valutazione su chi compie l'azione, ma lo pongono di fronte agli effetti del suo atto ed ai sentimenti che pro­voca negli altri.
Questa tecnica consta di tre momenti:
1: descrizione senza giudizio del comportamento reale
2:. conseguenza del comportamento
3: sentimento che viene suscitato
Una cosa è dire: "Sei pigro e svogliato" e un'altra è esprimersi così:
"Quando non metti a posto il materiale" (comportamento)
lo devo fare io o un tuo compagno(conseguenza)
questo mi dispiace (sentimento)
Se invece di dire: "Mi dispiace", esprimiamo uno dei messaggi dei "tipici 12", il bambino interpreterà: "Sono cattivo". Se diciamo "Sono stanca", lui capisce la situazione e proba­bilmente cercherà di modificare il suo comportamento. Ma non si sentirà né criticato, né insultato.
Allo stesso modo, immaginiamo le reazioni di un bimbo che ci ha appena tirato un cal­cio. Noi risponderemo: "Ahi! Mi ha fatto molto male. Non mi va proprio di essere pic­chiata", oppure: "Cattivo! Non devi più dare calci". Nel primo caso comunichiamo un fatto che non può essere discusso (messaggio di contenuto). Nel secondo esprimiamo un giu­dizio sul bambino e gli imponiamo un comportamento (messaggio di relazione); lui può non essere d'accordo e quindi ribellarsi. Il messaggio-io, ha il vantaggio di lasciare al bambino la responsabilità di scegliere un comportamento. E' un altro modo di aiutare il bambino a diventare autonomo e maturare. Non più quindi "Tu sei" ,ma "Io sento" si­gnifica essere se stessi. L'autenticità promuove una comunicazione chiara e il rapporto non potrà non beneficiarne.

IL LINGUAGGIO DELL'ACCETTAZIONE

La maggior parte della gente è stata portata a credere che se si accetta un bambino, egli rimane proprio come è; che la migliore strada per aiutare un bambino a migliorare per il futuro è dirgli che cosa non accetti di lui ora. E' uno di quei semplici paradossi della vita: quando una persona sente che è completamente accettata dall'altra come egli è, al­lora è libero di muovere da lì e cominciare a pensare a cosa vuole cambiare, come vuole crescere, come può cambiare ecc. Accettare un altro come egli è, è un atto d'amore: sen­tirsi ac­cettato è sentirsi amato. L'amore si manifesta attraverso l'accettazione. L'accetta­zione è, quindi, tornando alla distinzione tra messaggi di contenuto e messaggi di rela­zione, un messaggio di relazione che manifesta una relazione d'amore. L'accettazione, non è qual­cosa di passivo, di statico, ma una forza attiva, che va comunicata in maniera chiara, inviando messaggi adeguati. La parola può essere un importante veicolo, ma prima di "saper parlare " occorre "saper ascoltare".
I "Tipici 12" esprimono il linguaggio dell'inaccettazione in quando comunicano al bam­bino che sbaglia, che è un incapace.
Quando ci si rende conto di quanto si faccia affidamento sui "Tipici 12", spesso la do­manda è: "Come possiamo reagire diversamente?", "Quali altre possibilità esistono?"

Gordon cita alcuni esempi:

1) Ascolto
Ogni qualvolta il bambino è impegnato, il rimanere fuori, è un tacito segno di approva­zione.
Rimanere muti, l'ascolto attento, dà la sensazione di essere approvato e da la possibilità al bambino di esprimersi. L'ascolto attento può essere accompagnato da segnali di acco­glienza non verbali (un sorriso, un cenno della testa ).


2) Apriporta
Una risposta costruttiva ed efficace alle sensazione dei bambini, è "l'apriporta", o l'invito a dire di più.
"Aha, Oh", "Davvero", Cosa dici mai", "E allora"

Nell'ascolto attivo il ricevente cerca di capire il significato del messaggio, o quello che il bambino intende. Poi cerca di formulare quello che ha capito nelle sue parole (nel suo codice) e lo ripete a chi trasmette per conferma (feedback). Il ricevente non trasmette un messaggio proprio, non dà alcun giudizio in proposito, alcuna opinione, alcun consiglio, e non fa alcuna analisi, né pone domande. Risponde solo quello, che, secondo la propria im­pressione, significa il messaggio dell'altro, né più né meno. Il bambino si sente oggetto di attenzione, non percepirà la svalutazione, ma la comprensione che gli permetterà di raf­forzare la fiducia in sè stesso e trovare da solo la soluzione ai suoi problemi. Non è una tecnica di manipolazione in modo che i bambini si comportino o pensino come l'adulto.

Esempio per l'ascolto attivo

Riccardo distrugge regolarmente le macchinine con le quali gioca. Dopo poche ore sono ammaccate, gli mancano le ruote ecc.

Educatrice: "La macchina è tutta rotta!"
Bambino: "Si, è corsa troppo veloce"
E: "La macchina andava troppo veloce"
B. :Si, ha fatto un incidente, ed è arrivata pure la polizia e l'ambulanza."
E. :"Era un incidente terribile"
B. :"Si, come in televisione!"

Poi si scopre che il bambino è rimasto molto impressionato da un programma televi­sivo. Con l'ascolto attivo, il bambino ha la possibilità di esprimere quello che sente al di là del gioco stesso.
Ovviamente, non si tratta di ripetere come un pappagallo tutto ciò che dice il bam­bino, cosa che finirebbe per irritarlo. Si tratta di riflettere sul suo comportamento e di in­terpre­tare i sentimenti che vuole esprimere. Certi adulti sentono sia le loro sensazioni che quelle degli altri come sgradevoli. Questo può portare a dimenticare di capire le reali sen­sazioni dei messaggi dei bambini. Gli uomini in genere però, vorrebbero sempre che l'al­tro capisse non solo le parole, ma anche quello che sentono quando dicono qual­cosa. Specialmente i bambini sono molto sensibili. Spesso in quello che dicono o fanno, si na­scondono anche una serie di sensa­zioni: felicità, odio, delusione, paura, amore, melan­conia, rabbia, tristezza. Quando trasmet­tono qualcosa, vogliono che l'adulto li capisca in questo senso. Gli adulti, come ascolta­tori, devono far capire al bambino che si mettono al loro posto. Se non si immedesimano, i bambini naturalmente lo sentono, e capiscono che le loro sensazioni e perciò gran parte di loro stessi non è capita. Spesso il bambino non riesce ad esprimere quello che real­mente sente e desidera (questo capita anche agli adulti). Un bambino che chiede: "Quando andiamo a dormire?" può aver sonno oppure aver voglia di "coccole privilegiate". Le ri­sposte come: "Non è ora di andare a letto", creano dei conflitti. L'ascolto attivo consiste nel rimandare il messaggio decifrato:
E: "Hai sonno?"
B: "No..."
E: "Vuoi il tuo orsacchiotto e cantare insieme la canzoncina del chicco di caffè?"
L'ascolto attivo va molto al di là dell'incoraggiamento al dialogo. I bambini sono felici di essere capiti, l'ascolto attivo li avvicina agli adulti. Inoltre essi imparano a riflettere. Se ci concentriamo sulle sensazioni che il bambino trasmette, non giudichiamo o critichiamo quello che dice, comunichiamo con un tono caldo e comprensivo, facciamo in modo di cogliere ed immaginare il loro mondo, i bambini vedono in noi una persona con la quale si può "trattare" e non avranno paura di aprirsi con noi. Svilupperanno la fiducia in loro stessi e saranno sinceri. Impareranno, cosa fondamentale, che gli uomini hanno diritto alle proprie sensazioni. Non avranno più la sensazione che gli adulti risolvono automati­camente i loro problemi e prendono le decisioni al loro posto.
Al momento dell'inserimento il bambino che piange quando la mamma lo lascia solo al nido, dopo che gli è stato ripetuto più volte che la mamma torna, generalmente cambia ri­chiesta: "Voglio Pluto". Proviamo con l 'ascolto attivo.
E: "La tua mamma ti manca?"
B: "Si"
E: "Non ti piace che vada via senza di te vero?"
B: "Si"
E: "E siccome non c'è la tua mamma, vuoi il tuo Pluto?"
B: "Si"
E: "Ma non ce l'hai e sei triste."
I bambini hanno bisogno di empatia e simpatia e quando si rendono conto che si è inte­ressati ai loro problemi, ai loro desideri, si sentono più liberi e rilassati e a loro volta sono portati ad interessarsi al processo educativo. Hanno fiducia nell'educatore e la ri­cambiano. Acquisteranno nel tempo una e coscienza di gruppo e tra di loro si comporte­ranno più cortesemente, saranno più disponibili ed impareranno a risolvere i conflitti senza violenza. Svilupperanno la capacità critica e l'autosufficienza.
In nessun caso gli adulti devono diventare gli arbitri dei conflitti tra bambini. Se si ten­gono fuori, i bambini possono imparare a risolvere da soli i conflitti. Tuttavia possiamo fare proposte per una eventuale soluzione, o incitarli a risolvere il problema.
Luca e Sara si contendono un triciclo. Entrambi urlano e Sara piange.
S.: "Voglio il camion. Dammelo! Lascialo!"
L.: "E' mio.."
Educatrice: "Vedo che state proprio litigando per il triciclo .Volete venire qui e vedere in­sieme che cosa si può fare?
L'educatrice apre così la strada per una soluzione del conflitto. Spesso i bambini risol­vono il conflitto da soli senza nessun aiuto.
E' l'ascolto attivo che aiuta i bambini a trovare da soli la soluzione ai propri pro­blemi, grandi e piccoli, sotto la guida discreta dell'adulto. A costoro si chiede di non po­lemiz­zare ma di applicare una specie di procedimento socratico. Ecco un semplice espe­ri­mento che potremo fare la prossima volta che ci capiterà di vedere un bambino piccolo battere la testa contro uno spigolo. Cominciamo col dirgli che non è nulla, che pas­serà, che è troppo grande per piangere e qualsiasi altra cosa di quelle che si dicono gene­ral­mente in queste situazioni: il bambino si metterà a piangere ancora più forte. Allora di­ciamogli: "Hai battuto la testa? Deve farti molto male". Ci accorgeremo con sorpresa che smetterà immediatamente di piangere.
Lo stesso esperimento si può fare con una persona adulta, per esempio una nostra col­lega.
Potremo verificare facilmente che frasi come "non è nulla", "passerà" e simili, scatenano una reazione aggressiva e aumentano la tensione, mentre una semplice constatazione del fatto accaduto, fatta con simpatia, ha un effetto calmante. E' vero che se la persona che ha battuto la testa fosse una persona adulta noi sceglieremmo il secondo metodo. Ma perché non fare lo stesso con il bambino? Forse perché non consideriamo i bambini come per­sone.
Proprio partendo da questo semplice concetto: "i bambini sono delle persone", Thomas Gordon ha messo a punto questo metodo educativo che si propone di indicare un nuovo modo di impostare i rapporti bambino-adulto. I bambini sanno di essere delle persone e non vogliono essere trattati come "minorati". La ricerca sulla prima infanzia ha scoperto cose sorprendenti sulla mente del bambino: il neonato non è così sprovveduto come appare, ma si pone immediatamente come sog­getto che "ha qualcosa da dire", come polo attivo della relazione che si instaura tra lui e l'adulto. Man mano che si arricchisce il suo repertorio di strumenti comunicativi gestuali e verbali il bambino diventa capace di veri e propri scambi nei quali si pone come sog­getto autonomo e cosciente dell'elemento di reciprocità presente nella relazione. Sul piano delle modalità comunicative passa da una primissima fase in cui le comunicazioni sono derivate da schemi innati di espressione del disagio (quelle che Bruner chiama "modalità bisogno"), ad una in cui si stabilizza in lui l'aspettativa di una risposta e la co­scienza di fare delle richieste. E' proprio all'interno di questo processo che il bambino costruisce uno degli aspetti più decisivi della sua autonomia: la capacità di comunicare all'adulto la sua soggettività, si potrebbe dire la sua capacità di farsi capire e di consoli­dare un'immagine di sè come persona in grado di agire sul mondo che gli sta intorno. Ma l'adulto cosa può fare per farsi capire da un neonato? "Per farsi capire dal neonato oc­corre parlare il lin­guaggio degli amanti. Degli amanti! Si, degli amanti. E cos'è che di­cono gli amanti? Non si parlano: si toccano. Sono timidi, pudichi. Per toccarsi, per acca­rezzarsi, vanno a mettersi nel buio. Spengono la luce. Oppure semplicemente chiudono gli occhi. Rifanno la notte in­torno a sè. La notte degli altri sensi. Per non essere più altro che tatto. Nelle tenebre ritro­vate si toccano. Si palpano, si sfiorano. Si circondano con le loro braccia. Rifanno intorno a sè la carne, l'antica prigione. Non fanno alcun rumore. Le parole sono talmente inutili. Al massimo si sentono gemere di piacere. Sono le loro mani a parlare. Sono i loro corpi a capire. I loro respiri che si mescolano ed esplodono di gioia. Ecco che cosa occorre al neonato. Ecco che cosa capisce. Ecco come parlargli. Toccan­dolo ,accarezzandolo. Secondo il suo respiro."(2)
Continuando la metafora, per tuffarsi in questo bagno damore, occorre spogliarsi del­l'armatura del "genitore e, come ricorda Berne, ritrovare la dimensione "bambino" che agisce in ognuno di noi come la parte più genuina della nostra personalità. Così eduche­remo con affettività allaffettività, avviando il bambino a conoscere meglio le proprie ca­pacità e a saperle utilizzare; ad avere consapevolezza dei propri sentimenti ed emozioni e a saperli adeguatamente esprimere e ,all'occorrenza controllare, a saper vivere insieme agli altri, con sincerità, serenità, spirito di collaborazione, senza sopraffare ed essere so­praffatti. In questa ottica il bambino non è più oggetto di un anonimo intervento di tipo assisten­ziale e l'intento fondamentale consiste nel favorire la costruzione della sua prima identità ,che si attua utilizzando il fuori da sè" per raggiungere la "conoscenza di sè. Attraverso la consapevolezza della diversità esistente fra il proprio corpo e quanto c'è al di fuori (persone e cose) e della propria capacità e disponibilità a comunicare con l'esterno, il bambino riesce a consolidare il proprio io ,condizione indispensabile per essere prepa­rato ad assumere norme sociali e a superare l'atteggiamento egocentrico. La frequenza dell'asilo nido può quindi favorire un'educazione alla socialità. L'educazione alla socia­lità, prospettiva pedagogica fondamentale per l'asilo nido, non è divisibile dalla conquista della propria identità. Fondamentale per raggiungere tale dimensione così profonda­mente legata alla complessa rete delle interazioni con il fuori da sè, è instaurare un va­lido le­game di attaccamento. Le teorie sullo sviluppo sociale nella prima infanzia indivi­duano nella relazione di attaccamento un elemento fondamentale per un equilibrato svi­luppo psichico, affettivo e sociale dei bambini. La figura adulta ed i legami con essa in­staurati rappresentano per il bambino il tramite attraverso il quale si inserisce nella realtà circostante. Tale relazione di attaccamento non si attiva solo nei confronti della madre biolo­gica ma anche nei confronti di figure adulte di riferimento significative e in­dagini recenti sostengono che essa si sviluppi anche nei confronti dei coetanei, già in età precocissima. Capire che tipo di rapporti e di interazioni si sviluppi tra i bambini già nei primi mesi di vita è assolutamente indispensabile sia per elaborare una programmazione che per organizzare spazialmente gli ambienti del nido, proprio in funzione delle attività, delle modalità con cui esse si svolgono e delle relazioni che si instaurano. E' all'interno di una relazione affettiva privilegiata e stabile che nascono e si fortificano nel bambino i senti­menti di sicurezza che sono alla base di una personalità equilibrata. L'educatore deve of­frire modelli positivi con atteggiamento calmo nella voce e nei gesti, non deve sostituirsi al bambino. E' fondamentale la qualità della relazione che si stabilisce. Un educatore che cerca di affinare costantemente i suoi interventi e sa mettere in discussione il proprio comportamento invia messaggi quali: "sono qui per te, con te ", "ti aiuto a fare da solo", "tu sei capace e ti sto vicino fino a che non sei riuscito nel tuo intento" "non pretendo di insegnarti delle cose ma ti aiuto ad imparare attraverso le cose". In questa di­rezione as­sume un significato particolare la cooperazione fra famiglia ed educatore. Il ruolo di quest'ultimo è quello di instaurare un rapporto di fiducia . Riassumendo, buone relazioni di attaccamento con la madre, con una o più figure di riferimento, che collabo­rino valida­mente ed in modo continuativo, sono pertanto funzionali alla strutturazione dell'identità ed allo sviluppo del comportamento esplorativo, inteso come tensione verso il nuovo, desiderio di scoperta, curiosità capacità di interagire con l'ambiente, apertura verso tutto quanto è altro da sè. L'altro parametro di riferimento, necessario per lo svi­luppo del­l'atteggiamento esplorativo è costituito dalla presenza di un ambiente fisico ricco di sti­moli. L'educatore ha, di conseguenza, come compito specifico, quello della preparazione continua e precisa dell'ambiente affinché questo diventi il tramite, il mezzo attraverso il quale il bambino possa fare esperienze e scelte a livello senso­riale, manuale, intellettivo, espressivo ecc. Un ambiente che cresca con il crescere dei bambini, che offra un equilibrio fra i momenti individuali e quelli di piccolo gruppo, tra attività proposte e guidate dall'adulto e attività libere. Ciò significa che l'educatore deve rinunciare alla propria onnipotenza ed imparare ad osservare il bambino e la sua cre­scita. L'operatore acquisterà la nuova fisionomia del ricercatore attento, dell'osservatore scientifico, cioè capace di registrare fatti per discuterli e verificarli in gruppo. Per am­biente intendiamo sia quello fisico (spazio-materiali-arredi) sia quello costituito dalle per­sone e dalle loro relazioni (adulto-bambino,bambino-bambino).La vita di comunità comporta una quantità di regole indispensabili al funzionamento or­ganizzativo, ma altrettanto importanti per l'instaurazione di un clima sereno, minima­mente ordinato dentro al quale il bambino non subisca un bombardamento caotico di stimoli contraddittori. L'interiorizzazione di queste regole (gli orari, l'uso degli spazi, la richiesta di svolgere piccole mansioni), i "riti", costituiscono un elemento importante nel processo di apprendimento e di autonomia del bambino. Chi ha un minimo di pratica educativa sa come questo sviluppo non sempre si compie in maniera lineare e progressivo, ma contenga piccole e grandi episodi di re­gressione che testimoniano la fatica del bambino nello scoprire un mondo che è così spesso minac­cioso nella stessa misura in cui è affascinante.
Minacioso e affascinante come il mondo di Schiff.
"Schiff non sapeva di essere un verme. Nella mela in cui abitava, stava bene, al caldo, e poteva passeggiare su e giù attorno al torsolo, far ginnastica, torcersi e contorcersi per mille nicchie e sentierini sconosciuti. Cibo e mondo, mondo e cibo, erano una cosa sola e tutta per lui. Un giorno gli venne un pensiero:"Chi sono io?"..Alla ricerca della sua identita Schiff uscì contorcendosi alla luce del sole mentre dal cielo lo seguivano, minacciose, milione di stelle occhiute, puntute come becchi di gallina, come ami da pesca,come artigli in grado di uncinarlo."(3)
Se la polpa della mela resta opaca ed indifferente proprio come la faccia della mamma che allattando guarda e parla a qualcun al­tro, anzichè riflettere chi è la per essere visto, se non si ha accesso all'area della comunicazione, l'unica alterna­tiva è la regressione, il ritorno, la fuga entro il ventre della mela, entro il ventre materno. Le parole, il gioco, la fiaba con tutto l'ordine del simbolico costituiscono un terreno privi­legiato di comunicazione e di incontro, un mondo transazionale che permette il lento de­finirsi della distinzione tra io e oggetto, tra mondo interno e mondo esterno, tra simbiosi e separazione, favorendo la crescita, la fiducia nella gioia della relazione d'oggetto, del­l'investimento affettivo, e la capacità di elaborare l'angoscia di separazione. Il bambino che ha avuto con chi giocare in uno spazio ed in un tempo condivisi, saprà riconoscere la propria realtà personale, avere un sè entro cui ritirarsi con una sana autostima ed autova­lorizzazione. Il gioco del bambino è un modo di trattare la realtà in maniera soggettiva, è un fare che, pur essendo simbolico, pur essendo assimilabile al sogno è reale.Il gioco ed in particolare il mondo delle fiabe presentano il problema e la soluzione del problema e tutto questo nell'unico linguaggio accessibile al bambino: quello della fanta­sia. La fiaba parla al bambino dei problemi cui ha quotidianamente a che fare: l'abban­dono, il disamore, la solitudine, la paura. E nelle fiabe i bambini vincono; vincono contro genitori crudeli, contro streghe cattive, contro figure minacciose tanto più potenti di loro: le fiabe sono per loro la voce della speranza.
"Nelle fiabe gli animali parlano, parlano le piante, il re del mare è un signore barbuto che vive sott'acqua, il sole è un dio guerriero che cavalca nel cielo, la luna una pallida signora coperta di perle, .E di questo parados­salmente il bambino non chiede mai il perchè. Che ogni elemento del mondo circostante sia animato, che la bisacce parlino e gli elefanti volini, è naturale, non necessita di alcuna spiegazione.Possiamo per una volta chiederci noi adulti il perchè. Perchè questo mondo fatato è il mondo in cui il bambino vive,quel mondo definito della "magia primitiva" in cui si sono mossi i popoli agli albori della specie e si muovono ancora gli individui agli albori della loro esistenza."(4)

NE' VINCITORI NE' VINTI

Generalmente l'ascolto attivo, il messaggio-io, una modifica dell'ambiente, un gioco libe­ra­torio, bastano a risolvere un eventuale conflitto . Ma capita a volte che il conflitto persi­sta: il bambino non vuole cambiare il suo comportamento, l'adulto mantiene la sua posi­zione, l'ambiente non ha importanza. Che cosa succede quando il conflitto persiste? Si scatena una battaglia nelle quali ci sarà un vincitore e un vinto. Gordon individua tre ca­tegorie di adulti: "The winner", "The loser", "The oscillator". L'adulto severo (winner), crede di perdere in autorità se non vince, l'adulto tenero lascia vincere il bambino per paura di traumatizzarlo (loser), l'adulto incerto passa da un ruolo all'altro alternativa­mente (oscillator). Quando un adulto vince, il bambino accetta la soluzione imposta, ma a malincuore per cui l'adulto è costretto a controllare che la metta in pratica davvero; tutto questo finisce per rendere i bambini ipocriti. Abbiamo visto gli svantaggi di uno stile educativo autori­ta­rio. Non confondiamo però l'autoritarismo, basato sulla supremazia dovuta esclusiva­mente al ruolo con l'autorevolezza, fondata sulla competenza professionale. Dall'altra parte, l'esperienza dimostra che i bambini abituati a vincere sempre, diventano vanitosi ed esigenti, non rispettano gli altri, non sono amati dagli altri bambini che li trovano prepo­tenti. Spesso gli adulti sono coscienti di quanto questi meccanismi risultino essere falli­mentari, ma non riescono ad uscire dall'impasse "vincitore-vinto". Questa alternativa esi­ste. Si tratta della tecnica : "né vincitore, né vinto". Applicando questa tecnica il conflitto di conclude con un "negoziato". Il metodo senza perdenti consiste nella ricerca comune di una soluzione: è semplicemente una tecnica di partecipazione alle decisioni. Si stabilisce una trattativa esattamente come avviene tra uomini d'affari, o tra uomini politici di due paesi in guerra. Poiché la decisione viene presa in comune non viene imposta a nessuna delle due parti, anzi aumenta il sentimento di collaborazione. E' la tecnica del problem solving.
Consta di 6 passi:
1 - Identificare e definire il conflitto
2 - Proporre eventuali soluzioni alternative
3 - Valutare le alternative
4 - Decidersi per la soluzione ottimale
5 - Sviluppare le vie della applicazione della soluzione
6 - Dopo un certo periodo di tempo, rivedere la soluzione e verificare il suo effettivo fun­zionamento.

E: Sono stanca di dover ripetere le stesse cose e sono sicura che anche tu non ne puoi più, come possiamo fare? Ho un'idea, potremmo leggere la favola di "Pan il Panda"...
B: "Si, che bello ..."
E: "Non posso leggere però se devo mettere in ordine, che ne diresti di aiutarmi, così pos­siamo andare subito sul tappetone a vedere come Pan si perde nel bosco..?

Quando il bambino partecipa personalmente alla soluzione, si sente più motivato, più in­centivato e desidera mettere in pratica la soluzione prescelta. Il bambino è fiero che si abbia fiducia in lui, esercita la sua fantasia, perde qualsiasi atteggiamento ostile, al punto che spesso, le risoluzioni dei conflitti sono accompagnate da grandi risate di gioia.

GELATI O SPINACI?

"Una certa mamma, quando il suo bambino ha mangiato gli spinaci, lo premia di solito con un gelato. Di quali ulteriori informazioni avreste bisogno per essere in grado di pre­dire se il bambino giungerà: a) ad amare o a odiare gli spinaci; b) ad amare o a odiare il gelato; c) ad amare o a odiare la mamma ?"
Se ci soffermiamo con Bateson a discutere le molte ramificazioni di questo quesito, ap­pare chiaro che le "ulteriori informazioni" di cui abbiamo bisogno riguardano il contesto in cui hanno luogo le interazioni tra la madre e il bambino. Se riconosciamo l'impor­tanza del fenomeno contesto , focalizziamo l'attenzione non più sui fenomeni intrapsi­chici, sulla monade isolata individuo, ma sui rapporti interpersonali. Chi studia il comportamento umano passa allora dall'analisi deduttiva della mente all'analisi delle manifestazioni osservabili nella relazione: il veicolo di tali manifestazioni è la comunica­zione. Attribuiamo analoga, contemporanea validità alla dimensione soggettiva e psico­logica e alla dimensione oggettiva e sociologica. I due punti di vista, quello individuale e quello sociale devono essere presi in considerazione insieme, poichè ciascuno di essi somiglia, come dice Ferreira a quello che i cinesi chiamano un chien: un uccello fanta­stico con un solo occhio ed una sola ala:occorre che i due eccelli si uniscano perchè sia possibile il volo. In questa prospettiva, con la consapevolezza della necessità di un lin­guaggio adeguato alla nuova unità di studio, non più l'uomo psicologico, concepito come entita isolata, ma l'uomo sociale il cui essere sono i suoi rapporti sociali, introduciamo il concetto di comunicazione inteso nel suo senso pragmatico, comprendente "tutte quelle operazioni con le quali le persone si influenzano reciprocamente". La comunicazione umana e quindi l'interazione si fondano su un calcolo, su un codice, su una grammatica. Proprio come è possibile parlare una lingua correttamente e con scorrevolezza pur non conoscendono affatto la grammatica, così tutti obbediamo alle regole della comunica­zione, ma le regole stesse, la "grammatica" della comunicazione sono qualcosa di cui non siamo consapaevoli. Proviamo a formulare, con Watzlawick, gli assiomi di base di que­sto ipotetico calcolo per mostrare come essi determinano l'interazione e per cercare di evitare come comunicatori e in particolare come educatori quegli errori di "grammatica" della comunicazione."


CONTENUTO O RELAZIONE?

l' idea che abbiamo di un messaggio è quella di una informazione inviata da un essere umano ad un altro. Un messaggio non soltanto trasmette informazione, al tempo stesso impone un comportamento.Se un calcolatore deve moltiplicare due cifre bisogna dargli questa informazione (le due cifre) e l'informazione su tale informazione: il comando "moltiplicale". Sulla scia di Wiener, studioso di cibernetica, Bateson rileva che ogni co­municazione presenta l'aspetto di notizia (report) e l'aspetto di comando (comand). Il comando non è altro che l'invio di messaggi volti a modificare il comportamento del ricevente. L'aspetto di notizia di un messaggio trasmette informazione ed è quindi si­nonimo del contenuto del messaggio. Dall'altra parte, l'aspetto di "comando" si riferisce al tipo di messaggio che deve essere assunto e, perciò, in definitiva, alla relazione tra i co­municanti.
Se una persona indicando il disegno di un bambino chiede:"L'hai fatto tu questo dise­gno?", il contenuto della sua domanda è una richiesta di informazione su un oggetto. Ma contemporaneamente ella da la propria definizione della relazione. La maniera in cui pone la domanda (l'espressione del viso, il tono di voce ) potrebbe indicare ammirazione o sottovalutazione, affetto o altro. Il bambino può reagire con sicurezza o difendendosi, ma in nessun caso non può non rispondere, anche stando in silenzio, al messaggio di relazione.Tornando all'esempio su esposto è importante mettere in rilievo che sul piano del contenuto (autenticità del disegno) le due parti comunicanti possono essere o non es­sere d'accordo, ma questa parte della loro interazione non ha alcun rapporto con la defi­nizione reciproca della natura della loro relazione. Laddove sul piano del contenuto,per quanto possano continuare a parlare del disegno, la comunicazione produrrà accordo o disaccordo, sul piano della relazione, si manifesterà come comprensione o come incom­prensione. Sono questi due fenomeni essenzialmente differenti: due comunicanti possono essere in disaccordo su un'affermazione ma comprendersi l'un l'altro come esseri umani e viceversa, come pure possono essere d'accordo e comprendersi l'un l'altro o fallire ad en­trambi i livelli. A questo punto diventa importante evidenziare che per un educatore è fondamentale sa­per inviare messaggi efficaci sul piano della relazione, che veicolino accettazione e non rifiuto.
Note
1)De Saint-Excupery A (1980), Il piccolo princupe, Bompiani, Mulano
2)Honneger Fresco G. (1996), Abbiamo un bambino, Red, Como
3) Arpino G. (1966), Schiff il verme, Einaudi, Torino
4)Santagostino P. (1987), Curarsi con le fiabe, Riza scienze, Milano

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