Sunday, September 28, 2008

Lo scenario e la mission: integrare per innovare. Dal “Comune” alla “Comunità” di cittadini soddisfatti



Oh Comune delle mie brame,
che fine fa la mia domanda nel reame?
Sarà una mosca nella tela del ragno
o sarà difesa e interconnessa nel regno?
Sarò suddito o protagonista?
E l'organizzazione sarà progettista?
Ancora una volta rimando e comunitando vò...questa volta è al Progetto Super
Faccio parte del Gruppo 5 e quello che segue è il mio contributo al "Progetto Protocollo Decentrato" coordinato dal Dott Vitaliano Taccioli, conduttore trainante modello coaching, assolutamente da ricordare.
Che questo sia il "secolo della rete" è sotto gli occhi di tutti e la sfida per una PA capace di futuro è nell’alimentare la consapevolezza delle straordinarie e rivoluzionarie potenzialità di una società basata sulle relazioni e sulla conoscenza. Assistiamo al delinearsi di una nuova società, la Società dell’Informazione nella quale l’ICT diventa strumento strategico ed essenziale per migliorare la qualità della vita ed i servizi ai cittadini. L’incontro tra tecnologie informatiche e lo sviluppo di quelle dell’Informazione e della Comunicazione (ICT - Information – Tecnnology - Communication ) rappresenta un momento di grande trasformazione per il sistema economico e sociale. La pubblica amministrazione è al centro di un processo continuo di adeguamento, rivisitazione. Il fiume dell’innovazione scorre alimentato da numerosi affluenti che vi immettono le esigenze competitive delle imprese, la domanda pressante dei cittadini di servizi sempre più personalizzati nei contenuti e nei tempi di risposta, i cambiamenti demografici con la loro babele di lingue. Sono sfide che la P.A. deve cogliere. Occorre un cambiamento profondo che re-ingegnerizzi i processi per trasformare la PA da “elefante burocratico” ad organizzazione leggera, amica, capace di accompagnare cittadini e imprese nella realizzazione dei propri obiettivi. Che Il cittadino e l’impresa siano sfiduciati verso la complessa articolazione del sistema delle pubbliche amministrazioni è un dato che non si può più eludere o misconoscere. I cittadini vogliono sentirsi centrali e riconoscono alle amministrazioni il compito di garantire l’accessibilità ai servizi, la tutela dei diritti primari, l’impegno per una effettiva libertà economica. Chiedono efficienza, economicità, trasparenza, efficacia. Chiedono a chi porta la responsabilità politica ed operativa di far si che il sistema comunichi al suo interno e non sia una successione di scatole chiuse, fatta di “monadi” isolate e autocelebrative. Per dare risposte adeguate occorre un vero e proprio salto di paradigma, un’innovazione di Sistema fondata su tre pilastri portanti:

1) la ridefinizione dei processi organizzativi e gestionali
2) un’innovazione tecnologica in grado di sostenere il processo di reingegnerizzazione
3) la formazione di un capitale umano capace di attuarla e di trasformarla in fattore decisivo di sostenibile crescita economica, di sviluppo e di coesione sociale.
Tre pilastri il cui filo conduttore è la ricerca di una PA di qualità che funzioni meglio e costi meno. Le parole chiave:
1) Qualità delle risorse umane e loro formazione: la qualità della PA si misura dalla qualità delle persone che in essa e per essa lavorano;
2) qualità dell’innovazione tecnologica perché le nuove tecnologie sono il fattore chiave per l’efficienza e per rendere possibili nuovi e migliori modelli organizzativi.
3) qualità della misurazione: perché una PA orientata ai risultati deve affinare e condividere i propri indicatori, promuovere confronti, porsi obiettivi misurabili;
4) qualità delle norme perché una PA effettivamente orientata ai cittadini deve perseguire la semplificazione;
5) qualità della comunicazione perché essere informati è un diritto dei cittadini e la comunicazione delle pubbliche amministrazioni deve essere strumento per “costruire relazioni”;
6) qualità nei servizi per pubbliche amministrazioni “veloci e vicine” che valutino la soddisfazione degli utenti e che siano accessibili a tutti, soprattutto alle fasce deboli.

In questo scenario di sfide e opportunità, traguardo desiderabile è raggiungere un effettivo miglioramento della qualità della PA, ridisegnando i servizi che offre attorno ai clienti e non, come spesso accade nelle burocrazie, a misura degli uffici che li erogano. Conditio sine qua non per dar corpo a queste imprese, nel senso letterale del termine, cioè di capacità imprenditoriale di trasformazione del reale, è la diffusione della cultura della condivisione dei servizi e delle strutture. Si tratta di una prospettiva innovativa che però richiede un decisivo cambio di mentalità: integrare i processi di servizio superando la tradizionale frammentazione e le barriere interne all’amministrazione.In quest’ottica e in linea con il piano europeo di e-government, con la piena consapevolezza che il processo ormai qualificante per le politiche pubbliche è la realizzazione della governance democratica nasce il progetto “protocollo decentrato”. Il progetto raccoglie la sfida di realizzare l’interoperabilità e la piena collaborazione fra le amministrazioni per ridurre i tempi e semplificare le procedure, sfruttando le tecnologie di collaborazione ed integrazione dei processi e la condivisione degli archivi e delle informazioni.

Il Protocollo Decentrato per muoversi verso l’ empowerment istituzionale

In coerenza con le indicazioni fornite dall’OCSE, il progetto propone un approccio all’innovazione basato sull’empowerment istituzionale. Anziché produrre continui interventi normativi e investire somme per “comprare” un cambiamento, che sono le prassi abituali della PA tradizionale, investe in “gestione strategica” dell’esistente. Lavora in ottica di problem solving andando ad intervenire sui nodi organizzativi. Partendo dall’analisi delle criticità si propone di attivare soluzioni creative a costi contenuti.
Le criticità
Quando si parla di nodi da sciogliere o barriere da abbattere viene subito in mente il “digital divide” che discende dalla constatazione che non tutti sono in grado di utilizzare le forme di comunicazione più strettamente legate all’uso del computer. Nella elaborazione delle politiche per l’e-government bisogna quindi accertarsi che tutti siano messi in grado di utilizzare quanto viene offerto, il che richiede di usare la più ampia varietà delle forme di comunicazione, che peraltro la tecnica ci offre con abbondanza. C’è però un secondo tipo di barriere che possono nascere, e l’esperienza ci dice che spesso nascono, dal fatto che la Pubblica Amministrazione è ancora per larga parte un insieme di realtà distinte e spesso scorrelate tra loro. Ne deriva una pluralità di progetti ognuno dei quali è modellato sulla realtà “attuale” dell’amministrazione che lo realizza e soprattutto produce servizi erogati in strutture spazialmente separate. Questo ha come risultato che invece di far muovere le informazioni si fanno muovere i cittadini vincolandoli agli orari di apertura degli sportelli. Inoltre si ha una inefficace moltiplicazione degli sforzi e delle risorse allocate per raggiungere gli obiettivi che ci si propone.
Le soluzioniIl progetto prevede di coordinare tra loro le diverse amministrazioni in modo che, con una opportuna integrazione tra le varie procedure amministrative, si possa arrivare ad un “sistema a rete” che permetta al cittadino di entrare in contatto con esso per la richiesta di qualsiasi servizio attraverso la struttura a lui più vicina. Questo lavoro è finalizzato all’attivazione dello “sportello unico” attraverso l’accorpamento dell’URP, dell’Ufficio archivio e protocollo. Tale sportello unico, dovrà erogare servizi integrati di sportello: cioè realizzare le condizioni per cui il cittadino e l’impresa possano interagire con il Comune e con le aziende collegate attraverso un solo interlocutore, un front-office unico, in grado di dare soddisfazione alle richieste, sia direttamente, face-to-face, sia per via telematica. L’intento è la creazione di un “front office” che consenta l’erogazione di servizi ai cittadini e alle imprese su più canali d’accesso, sia fisici che virtuali, in modo tale che l’utente possa scegliere la modalità per usufruirne. Questo “front-office” viene realizzato con criteri idonei a consentirne la riusabilità, a permettere di valutare la soddisfazione dell’utenza e, soprattutto, a dare all’utenza la percezione che esso sia realmente “unico”. In che modo? Attraverso lo sviluppo e la gestione di un sistema di comunicazione interna che consente di gestire in maniera integrata il flusso documentale in maniera da adeguare l’URP al ruolo previsto dalla Legge 150/2000: un URP non più solo sportello informativo e primo smistamento, ma back-office, regia e centro vitale dello sportello unico, condizioni necessarie per il funzionamento del front office. URP che effettua analisi dell’utenza, rilevazione dei bisogni, monitoraggio della customer satisfaction e della qualità dei servizi, progettazione d’interventi e iniziative di comunicazione di pubblica utilità. Appare evidente che proponiamo un salto concettuale, ovvero lo spostamento del focus da un approccio per funzioni a uno per processi. Lo scopo è mirare alla gestione di un numero maggiore di aree di attività. L’organizzazione per processi fa sì che ogni applicazione agisca in modo trasversale rispetto alle singole funzioni e che le automatizzi in modo integrato. L’accesso ai servizi sarà possibile attraverso l’identificazione dell’utente con mezzi adeguati al livello del servizio richiesto, a partire dal semplice binomio “Nome utente – password” (credenziali deboli) per arrivare alla Carta di Identità Elettronica (C.I.E.), ai Certificati digitali o alla Firma digitale (credenziali forti). Il progetto, in linea con lo slogan portante della Regione Lazio, “regione di tutti, nessuno escluso”, intende curare il problema della accessibilità per garantire che tutti i cittadini possano usufruire dei servizi offerti, promovendo tecnologie che tengano conto delle notevoli differenze in termini di cultura, formazione, capacità, risorse materiali e limitazioni fisiche degli utenti. Per questo si prevede di utilizzare:
· la rete Internet, veicolo privilegiato di tutti coloro che possiedono un computer proprio o che possono utilizzare punti di contatto sia nelle sedi comunali che in altre strutture;
· informazione ai cittadini su eventi di loro interesse attraverso l’invio di SMS sui cellulari;
· Call center e sportelli fisici per tutti quelli che non dispongono dei mezzi tecnici necessari o che non sanno, o non vogliono, impadronirsi di tecniche nuove.
Il sistema offrirà canali di comunicazione bidirezionale per permettere ai cittadini non solo di usufruire dei servizi offerti ma anche di poter esprimere un gradimento sui tempi e modi delle risposte ottenute, e più in generale di poter formulare proposte e suggerimenti.

La PA: generatore di valore
La legge 150/2000 sulle attività di informazione e di comunicazione nella PA ricorda che le pubbliche amministrazioni devono attuare, “mediante l’ascolto dei cittadini e la comunicazione interna, i processi di verifica della qualità dei servizi e di gradimento degli stessi da parte degli utenti. In questa logica il cittadino diventa un “cliente” da soddisfare, un referente da ascoltare e assistere in ogni sua richiesta”. La comunicazione diventa attività centrale dell’azione di governo poiché, grazie ad essa, si passa da una situazione in cui si parla poco e in modo generico con tutti ad un’altra in cui si comunica in modo diretto e mirato con ciascuno e, soprattutto si attuano nuove politiche dell’ascolto


La PA non è semplicemente il garante dell’osservazione della norma, non è l’utilizzatore efficiente ed economico delle risorse, ma è soprattutto generatore di valore . Per i cittadini attraverso la progettazione di servizi eccellenti, per le proprie risorse professionali, attraverso la progettazione di “sviluppo risorse umane” altrettanto eccellenti. (ELEA)

La leva strategica: il welfare della conoscenza

La differenza fra un sistema eccellente e gli altri non sta nell’avere persone diverse, ma nel trattare le persone in modo diverso: richiedendo professionalità, ma fornendo ausili concreti per farle crescere.


La chiave dello sviluppo e del miglioramento dei servizi, la vera leva competitiva, il vero strumento di empowerment del sistema, si è spostata verso le risorse umane qualificate, le conoscenze scientifiche , le capacità professionali ad ogni livello. Saperi all’opera. (vedi Progetto Orchestra del Comune di Roma)

La formazione nella PA:

Ieri:
Strumento di adeguamento normativo


Oggi:


Strumenro di accompagnamento del
Cambiamento


Cambiamento verso:

Cultura tecnologica diffusa;
Cultura europea;
Cultura della razionalizzazione e semplificazione (Miglioramento dei processi);
Cultura dei progetti e della imprenditorialità interna (Project Management);
Cultura del risultato e della valorizzazione delle risorse umane (Formazione Manageriale);
Cultura della comunicazione e della qualità “interattiva” (Skill di comunicazione interpersonale);
Cultura del consenso, non passivo ma attivo, verso i processi di cambiamento (Change Management);
Cultura della RETE – networking attraverso l’apprendimento /lavoro collaborativo e l’uso del Web;
Cultura dello sviluppo del territorio – marketing territoriale.


L’innovazione, ovvero la spinta al cambiamento nell’era digitale interessa tanto il prodotto quanto il processo. La dimensione cognitiva del lavoro, la conoscenza e la sua condivisione diventano così centrali nella produzione di valore. Risulta necessario operare scelte tecnologiche e normative tali da non precludere futuro. Per questo sono cruciali la promozione e la tutela dei lavoratori della conoscenza, così come la creazione di condizioni meritocratiche e non assistenziali al fine di trattenere i nostri migliori talenti e, magari di attrarre quelli degli altri. Occorre definire in modo partecipato un Welfare per la Conoscenza attraverso un patto con le nuove generazioni di lavoratori cognitivi.

Nello specifico, il nostro progetto, mira ad essere il linea con le esigenze dei sistemi avanzati di e-governement. Le normative nazionali ed europee in materia di innovazione tecnologica (dpr 445/2000, direttiva europea sulla firma digitale, oltre allo studio dell’UE sui requisiti funzionali per la gestione informatica dei documenti) e le recenti direttive sul governo sullo stesso tema impongono una rapida trasformazione nella gestione degli archivi e dei sistemi documentari. Accanto alla necessaria dotazione di una serie di strumenti per la gestione elettronica dei flussi documentali, per la riorganizzazione dei servizi che tenga conto delle potenzialità di condivisione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, snodo nevralgico è la crescente esigenza di fornire formazione qualificata e specialistica o per meglio dire pluri-specialistica al personale coinvolto nel processo, a partire dalle funzioni dirigenziali per finire all’addestramento dell’operatore di front office. L’obiettivo è il trasferimento di competenze pluri-specialistiche complesse che consentano di affrontare il processo di innovazione organizzativa e tecnologica che il progetto si propone di mettere in campo.
I moduli formativi avranno la finalità di fornire competenze in merito a:
1) Il prodotto:
Sviluppo di conoscenze giuridiche, informatiche, organizzative per la corretta gestione del ciclo di vita dei documenti cartacei ed elettronici, con particolare riferimento all’organizzazione di servizi per la gestione informatica e conservazione di archivi digitali.
2) Il processo:
- Innovazione organizzativa (metodologie e tecniche di Project Management):
- Gestione del cambiamento (Change Management);
- Sviluppo e gestione di politiche della qualità, dell’efficienza e dell’efficacia (TQM);
- Sviluppo delle attitudini e delle competenze per la gestione dei processi nell’ambito delle reti;
- Trasmissione e diffusione delle competenze acquisite durante il percorso formativo attraverso una metodologia e una comunicazione efficace (Comunicazione Circolare).
L’ultimo modulo si pone l’obiettivo di far acquisire ai partecipanti le tecniche di comunicazione efficace per trasferire e diffondere nelle proprie Amministrazioni il bagaglio di conoscenze acquisite.. Si esamineranno i vari metodi didattici ( la formazione in aula e l’e-learning, la formazione-intervento, il metodo dei casi, il role.playing, il project work ecc.). Lo scopo è permettere una circolazione virtuosa dei saperi e una contaminazione..
Poichè, in estrema sintesi, l’obiettivo finale del progetto è la costituzione di un URP punto di eccellenza dei diritti di partecipazione, che funzioni come Sistema Informativo Integrato, che avrà lo slogan: “Il cittadino chiede e la risposta è S.I.I,”, particolare cura sarà rivolta, accanto alla formazione manageriale, . alla formazione dell’operatore URP di “seconda generazione”.
I funzionari e i dirigenti, preposti alla contaminazione, ovvero alla diffusione delle metodologie apprese nei moduli su esposti, provvederanno a loro volta, a cascata, a farsi formatori e diffusori di nuove competenze per il personale URP. Le nuove unità che andranno ad integrare il personale URP esistente, saranno selezionate attraverso un processo articolato (valutazione dei titoli, somministrazione di un test tecnico, somministrazione di un test di personalità, colloquio di gruppo, colloquio individuale, role playing) allo scopo di individuare:
· la capacità di autoorganizzazione;
· le attitudini propositive e al problem solving, allo scopo di migliorare il servizio;
· l’orientamento al rapporto con il pubblico;
· la capacità di lavoro in gruppo;
· le conoscenze dei processi, aiutati da una banca dati aggiornata e friendly con l’utente/cliente;.

Poiché l’Urp di seconda generazione è essenzialmente un Sistema di Ascolto, particolare cura sarà rivolta, oltre all’aspetto normativo e a quello organizzativo-strutturale, all’aspetto socio-psicologico, in quanto il personale dell’ufficio è essenzialmente di front office, sia verso il cittadino che verso i colleghi. I contenuti della formazione:
· Comunicazione istituzionale e diritto all’Informazione;
· Legislazione e modelli innovativi di comunicazione;
· Organizzazione dell’Ente Locale;
· Strumenti e tecniche di gestione dei flussi documentali in un S:I:I:
· Basi di informatica ed uso avanzato di Internet.

Fattore di successo del percorso formativo sarà la realizzazione di un clima di scambio nella logica del confronto e di forte collaborazione, attraverso azioni di benchmarking, rivolte ad evidenziare e a promuovere best practsices. Il metodo proposto si rivolgerà ai partecipanti non più come ad allievi di aula tradizionale, ma come partner di un processo di apprendimento e di realizzazione di uno specifico e riutilizzabile project work.

Obiettivi SMART per un Protocollo SUPER
“Chiunque affronti un progetto pensa a trasformare situazioni esistenti in situazioni desiderate” (Loris Malaguzzi)..
Soddisfare le aspettative degli stakeolder non è mai facile. Lo scopo di ogni progetto, compreso quello del nostro project work, che il programma Super ci permette di mettere in campo, è quello di verificare di aver compreso le loro necessità, di offrire una serie di requisiti in grado di soddisfare tali esigenze e più aspettative possibili entro i tempi desiderati.
Il Project Management Institute (PMI), http://www.pmi.org/, definisce un progetto e il lavoro in team come “ combinazione di uomini, risorse e fattori organizzativi, riuniti temporaneamente per raggiungere obiettivi unici, definiti e con vincoli di tempo, costi, qualità e con risorse limitate”.
Il Project Manager sa che i risultati ottenibili devono soddisfare il cosiddetto test SMART e quindi essere:

· Specifici, descritti e definiti con chiarezza;
· Misurabili, con mezzi chiaramente definiti;
· Arrivabili, ossia raggiungibili con le capacità disponibili nell’ambiente attuale;
· Realistici, ossia raggiungibili con la conoscenza corrente e privi di grossi rischi oincognite;
· Temporabilizzabili, vale a dire limitati bel tempo da una data di completamento definita da esigenze reali e conosciute.

Il Project Manager sa che i suoi sforzi devono tendere a:


· “descrivere e dare una visione realistica del progetto durante tutto il ciclo di vita
· responsabilizzare tutti gli attori coinvolti su obiettivi specifici e sulle problematiche in gioco
· anticipare ed evidenziare situazioni critiche, proponendo soluzioni valide alternative in modo tempestivo
· tracciare un quadro revisionale dell’evoluzione futura del progetto
· promuovere normativa comune a tutti gli attori coinvolti
· fornire al Top Management aziendale tutti gli elementi per una efficace attività decisionale e di governo del progetto “(Matteo Coscia -Proiectize)




Come non citare Matteo Coscia che è stato un mio maestro al Master in Comunicazione Interattiva e di Rete - Funzione Pubblica? Il management è cosa assai complessa, ma quello che conta è essere consapevoli che “non è perché le cose sono difficili che non osiamo: ma sono difficili perché non osiamo”. (Seneca)

Monday, July 14, 2008

Ma il gioco vale la candela?

Nella foto una bambina dipinge con uno spazzolino da denti. Se ci si mette in gioco si può dipingere anche senza pennello!!!
La Ludoteca nelle Politiche di Promozione della Famiglia e dell’Infanzia: costruire un servizio di qualità e monitorarlo.

Servizi di nuova e vecchia istituzione per bambini e adolescenti, servizi innovativi e da innovare : la riflessione è mossa dall’esigenza di fornire indicazioni che aiutino a definire un modello di qualità del servizio e a monitorarlo, attraverso un percorso di formazione e sperimentazione.

Pensiamo ad un’immagine di bambino possibile, riconosciuto nei suoi specifici e indifferibili diritti:
1)il diritto al movimento (in una società in cui gli spazi si fanno sempre più ristretti ed invivibili e sempre meno a misura di bambino);
2)il diritto alla socialità(in una società che valorizza atteggiamenti di individualismo/competitività rispetto a quelli di altruismo/cooperazione);
3)il diritto alla conoscenza autonoma e attiva (in una società che, invece, obbliga al conformismo e all’omologazione di pensiero);
4)il diritto alla creatività (in una società che induce a forme di sapere stereotipato e banale).
E’ in funzione di questa immagine di bambino possibile, da costruire sulle tante immagini di bambini reali, storici concreti che occorre allora attivamente impegnarsi, sul piano pedagogico, culturale, sociale, politico. Il riconoscimento del diritto del bambino a strutturare la propria identità ed ad affermare la propria autonomia intellettuale e sociale si salda e si intreccia con l’impegno che a garantire spazi, tempi e relazioni per una formazione piena ed integrata fin dalla primissima infanzia.
E’ in questa cornice che il Dipartimento XVI si impegna a costruire un servizio ludoteca di qualità e monitorarlo, con la motivazione di promuovere la qualità della vita dei bambini e delle loro famiglie attraverso la valorizzazione di spazi studiati per favorire il benessere dei bambini attraverso il gioco, la socializzazione, la libera espressione.
Quale ludoteca?
"L’uomo non smette di giocare perché invecchia,
ma invecchia perché smette di giocare” G.B. Show

La ludoteca rappresenta una risposta alle nuove esigenze del bambino della società tecnologica limitato nella possibilità di godere di un gioco autentico. E’ un luogo dove la creatività dei bambini viene valorizzata e sostenuta grazie ad una progettualità educativa chiara e definita. Promuove la qualità della vita dei bambini (e quindi della famiglia) nella loro interezza, uscendo dall’essere solo “il posto dove sono i giocattoli”, ma configurandosi come “centro per la cultura ludica” dove il prestito e l’uso del giocattolo è solo una delle attività possibili. Oltre alla cura dell’organizzazione dell’ambiente, diventa importante la cura della costruzione di una “relazione di qualità”, non solo fra i bambini, ma anche fra le famiglie. Da un lato l’attenzione si rivolge alla pluralità di iniziative offerte, dall’altro la cura è verso la qualità degli scambi comunicativi fra bambini e bambini, fra bambini e adulti e fra le famiglie in relazione tra loro. Il Dip XVI progetta anche iniziative che
“escono” dalle ludoteche per aprirsi alle occasioni di espressione e incontro nei cortili, nei parchi, nelle piazze, nei condomini ( Piccoli Condomini in Gioco ne è un esempio), organizza iniziative ideate per particolari ricorrenze (il Giorno del Gioco ne è un esempio), ma la ludoteca resta comunque un luogo “punto di riferimento privilegiato” per riconquistare il diritto al “piacere della conoscenza motivata”.
Obiettivi
· Promuovere una cultura ludica educando i bambini e gli adulti alla scelta del giocattolo e del gioco in tutte le sue forme;
· valorizzare la creatività dei bambini nel rispetto delle caratteristiche individuali di ognuno;
· favorire l’integrazione di bambini che vivono situazioni di difficoltà (handicap e disagio sociale);
· favorire le relazioni e le occasioni di scambio e sinergia tra le famiglie nell’ottica di costruire una rete sociale solidale;
· ampliare l’offerta educativa e ludico ricreativa attraverso lo sviluppo di iniziative aperte al contesto sociale e culturale del quartiere.
La Ludoteca, si propone come agenzia formativa, da un lato attenta a valorizzare il significato formativo specifico del gioco e del giocattolo e dall'altro lato aperta a collaborare strettamente con la famiglia, la scuola e gli altri servizi educativi presenti nel territorio.La ludoteca è un servizio che testimonia la consapevolezza da parte dell'Amministrazione Comunale che il gioco è un bisogno e un diritto di tutti gli esseri umani, uno strumento di formazione, di crescita, un mezzo di comunicazione e di incontro tra le varie persone. Oltre a rappresentare un punto di aggregazione e partecipazione fra i bambini/e e tra genitori, la ludoteca permette a bambini e bambine di scegliere autonomamente i giochi con cui identificarsi, fantasticare e costruire, rendendoli protagonisti dell'esperienza ludica. Rappresenta un'occasione ed uno strumento formidabile per riportare il gioco e il giocattolo all'interno di un binario educativo, ad essa (in collaborazione con le altre istituzioni territoriali) spetta il compito di offrire una risposta - istituzionale e sociale insieme - positiva di aiuto/formazione sia ai bambini, sia a tutti coloro che hanno rapporti significativi con essi: genitori, educatori, insegnanti, cittadini. Serve in particolare a:
- liberare il gioco dalle ristrettezze di spazio e di tempo ufficializzando uno spazio e un tempo precisato di gioco e di utilizzo del giocattolo;
- sviluppare un positivo tessuto sociale: non si gioca da soli ma con altri;
- riconoscere per ogni bambino il diritto al gioco. Se esiste un luogo ufficiale nel quale giocare, significa che il gioco rappresenta un'esperienza legittima e riconosciuta, non una pausa ad attività più importanti.
La ludoteca, in sinergia con le linee di indirizzo proposte dal DIP XVI, vuole acquisire un riconoscimento di entità di primaria importanza nel tessuto socioculturale del territorio facendo di essa un punto di riferimento, scambio e promozione di attività polivalenti che abbiano come figura centrale il bambino, nella sua molteplicità di esigenze ludiche e creative. E’ attraverso il gioco che il bambino trae la materia con cui costruire la sua visione del mondo in cui vorrà vivere lanciando un ponte verso il futuro e l’impegno delle politiche familiari è offrire spazi a misura di bambino che siano:
- veri e propri centri culturali;
- osservatori privilegiati della realtà infantile nel territorio;
spazi di ricerca;
- luoghi di solidarietà e di prevenzione del disagio;
- luoghi di socializzazione, di condivisione, di divertimento e di benessere.
Osservatorio e Ludoteca: due “officine di metodo” che si “mettono in gioco” sullo stesso tandem
I risultati attesi sono la costruzione e realizzazione di un Servizio Ludoteca capace di creare un modello didattico dai fondati contrassegni teorici e metodologici, in linea con lo spirito e l’approccio scientifico proposto dall’Osservatorio. L’Osservatorio, riflettore attento di cui il Dipartimento XVI si dota, pensa ad una ludoteca:
- sperimentale, sul versante della ricerca e su quello della permanente revisione scientifica delle proprie ipotesi, delle proprie strategie e dei propri risultati in relazione al confronto costruttivo con la complessità dei propri oggetti;
- aperta, al proprio interno come luogo dei laboratori e all’esterno come luogo ecologicamente integrato alle molteplici “antropologie” dell’ambiente. Costruttivamente interconnessa alle diversificate istituzioni formative del territorio;
- intenzionale e progettuale, in direzione di una valorizzazione delle risorse mentali del bambino e del congruente orientamento verso un organico sviluppo multidimensionale e verso la creativa conquista di una compiuta emancipazione intellettuale, cognitiva, affettiva e sociale.

Le parole chiave del modello didattico proposto:

MODELLO SCIENTIFICO : conoscenza del bambino, intenzionalità, progettualità educativa, stile sperimentale

PROGETTAZIONE CHE PREVEDA LA DEFINIZIONE DI:
- Spazi- angoli e centri di interesse, laboratori
- Tempi – ritmi e riti di interazione
- Relazioni – interconnessione con la famiglia e con l’ambiente
- Gioco – attività libere e attività formalizzate in progetti didattici

OSSERVAZIONE – DOCUMENTAZIONE - VALUTAZIONE

Queste le parole chiave che il Servizio Ludoteca e l’Osservatorio si impegnano a rendere attive per la costruzione e la costante revisione, nell’ottica di un miglioramento continuo, di un servizio efficace sul piano formativo e rispondente alle aspettative dei grandi e piccoli utenti.
In quest’ottica la ludoteca diventa officina di metodo all’interno della quale si allenano l’intelligenza e la fantasia, avendo come finalità questo ideale formativo: conquistare il doppio prestigioso traguardo deweyano dell’imparare a imparare e dell’imparare a creare.
La carta d’identità pedagogica e didattica della ludoteca-officina di metodo segnala cinque segni di riconoscimento di indubbio appeal formativo, un pentagono dei punti/qualità del laboratorio inteso quale contesto di capitalizzazione delle conoscenze.
“(a) Primo punto/qualità. - Ridimensiona la persistente egemonia dell’aula-classe quale unica-banca di conservazione e di erogazione delle conoscenze (forzatamente di tipo trasmissivo-riproduttivo).
(b) Secondo punto/qualità. - Promuove la motivazione (la curiosità) e la partecipazione-attiva (il fare) nella scoperta dei perché e della loro risposta (purchè siano alla loro portata linguistica e logico-interpretativa).
(c) Terzo punto/qualità. - Rispetta gli stili cognitivi della sua utenza favorendo un apprendimento “su-misura”.
(d) Quarto punto/qualità. - Mette le ali ad un’istruzione fondata sulla ricerca: quindi, all’imparare - da soli - a curiosare e a scoprire conoscenze dense di attualità e di problematicità, spesso direttamente verificabili.
(e) Quinto punto/qualità. - Contribuisce a ridurre le difficoltà relazionali e i ritardi cognitivi degli allievi che si trovano, nella vita della classe, ai margini dei processi di socializzazione e di apprendimento.
Qual è la carta d’identità della sua utenza? E’un’utenza attiva, laboriosa, impegnata a slargare il più possibile i propri cieli della conoscenza per potere essere in grado di esplorare altre volte celesti, altri mondi possibili. Sono bambini e adolescenti che assaporano una scoperta dopo l’altra, perché autonomamente scelgono i propri interessi-curiosità-dubbi e i conseguenti itinerari di conoscenza e di creatività. Sanno osservare il variegato mondo che hanno di fronte, ma sanno anche scrutare e sognare orizzonti lontani: oltre la propria siepe leopardiana. Respirano a pieni polmoni il mito e la favola, ma sanno anche pensare e congetturare con la propria testa.”

Sistema ludoteche e offerta formativa proposta dalla Ludoteca “madre” Comunale “il sottomarino giallo” di Via dell’Archeologia n.2° - VIII Municipio

In un’ottica di sistema formativo integrato, interessante è la proposta di Luigi Guerra del sistema di ludoteche, dove una ludoteca “madre” pubblica assicura collegamento e sostegno ad una serie di ludoteche ”figlie”.
Ludoteche periferiche pubbliche
Servizio prestito
Sale gioco
Laboratorio monotematico
Ludoteca “madre” CENTRALE
Servizio prestito
Sale gioco
Laboratori pluri-tematici
Documentazione
Formazione
Ludoteche periferiche private
Servizio prestito
Sale gioco
Laboratorio monotematico (eventuale)
Ludoteche scolastiche
Servizio prestito
Sale gioco
Laboratori didattici
La gestione della ludoteca comunale “madre" (le cui parole "forti", sono la formazione e la documentazione) , affidata a seguito di gara pubblica alla Associazione Bastian Contrario, aderisce allo spirito del Regolamento delle Ludoteche del Comune di Roma perseguendo i seguenti obiettivi:
- la sperimentazione d’esperienze di comunicazione, relazione, socializzazione, nonché d’interazione con l’ambiente;
- lo sviluppo dei vari processi d’apprendimento attraverso il gioco, nel pieno rispetto delle modalità autonome e dei tempi del bambino;
- lo sviluppo della percezione, della sensibilità e l’espressione della creatività dei bambini;
- l’educazione alle regole della convivenza, alla cooperazione, alla tolleranza;
- l’acquisizione dell’autonomia, della libertà di scelta, della libera iniziativa;
- l’instaurarsi di un rapporto di scoperta di libri, giochi e i più attuali strumenti telematici.

I destinatari principali del progetto ludico educativo sono i bambini e gli adolescenti dai 3 ai 14 anni, ma sono da considerare destinatari finali del progetto le famiglie del territorio di riferimento e l’intera comunità territoriale. All’interno della comunità i bambini sono promotori di cultura. Il Dip XVI, si fa a sua volta promotore della voce dei bambini attraverso il Consiglio dei bambini assumendo il bambino come parametro interpretativo e propositivo. Il territorio dell’ VIII Municipio detiene il primato di territorio a più elevata presenza di bambini e ragazzi di età inferiore ai 14 anni dovuto all’incremento di famiglie numerose e all’insediamento di famiglie giovani.
Dato non trascurabile è la presenza di aree acute di disagio quali la bassa scolarizzazione, la carenza di reddito, il disagio psichico, la tossicodipendenza. Accanto ai diversi fattori di esclusione si rintracciano tuttavia risorse civiche quali il volontariato, l’associazionismo, che possono rappresentare preziosi strumenti di emancipazione del disagio sociale e di rilancio della cultura come risorsa collettiva. E’ proprio questo assunto di base che segna il contatto e lo spirito di collaborazione con il Dip XVI e la ludoteca “Il sottomarino giallo”. La ludoteca, in sinergia con le linee di indirizzo proposte dal DIP XVI, vuole acquisire un riconoscimento di entità di primaria importanza nel tessuto socioculturale del territorio facendo di essa un punto di riferimento, scambio e promozione di attività polivalenti che abbiano come figura centrale il bambino, nella sua molteplicità di esigenze ludiche e creative.
Nello specifico la ludoteca “Il sottomarino giallo” è aperta dal lunedì al venerdì dalle 15.00 alle 19.00 e, in via sperimentale, da quest’anno anche durante il mese di agosto. L’organizzazione degli spazi comprende una sala centrale di circa 100 mq., divisa in aree adatte sia al gioco libero che a quello da tavolo e uno spazio proiezione con videoproiettore e impianto audio centralizzato predisposto per incontri e feste. Sono allestiti spazi-laboratorio per attività creative (falegnameria, pittura, manipolazione e riciclaggio), spazi per la psicomotricità, spazi per la concentrazione quali la biblioteca. Accanto ad una attenta gestione dei tempi e degli spazi appare fondamentale l’aspetto relazionale. A garanzia di efficacia formativa da parte degli operatori utilizzati all’interno della struttura, l’Associazione Bastian Contrario conferma che le metodologie educative impiegate trovano saldi punti di riferimento nell’esperienza dei percorsi formativi attuati attraverso i corsi di formazione professionale per Educatore Ludotecario, Educatore Giocattolaio del legno e per Educatore musicale. Queste tre figure sono state create dall’Associazione Bastian Contrario attraverso corsi riconosciuti e finanziati dalla Regione Lazio e dal Fondo Sociale Europeo. Centrale è la volontà e le capacità di attivare in modo flessibile competenze ed abilità trasversali riguardanti sia il gioco in senso classico che le attività ludico espressive e psicomotorie, nonché le proprie capacità relazionali. Abilità che vengono attivate non solo nel lavoro a diretto contatto con il bambino, ma anche nel coinvolgimento delle famiglie e nelle attività di scambio con le risorse territoriali. L’intento, il percorso comune tra il Dipartimento XVI e la ludoteca in oggetto è costruire e farsi promotori di eventi che lascino segni tangibili, che recuperino tradizioni di gioco, che mirino a ripristinare le opportunità di gioco negato e a riqualificare il territorio.

Tuesday, March 18, 2008

Comuni-c-azione: il lavoro del mio primo convegno da comuni-c-attore per il Comune di Roma

Comune di Roma
Ufficio La città a misura delle bambine e dei bambini
Via Capitan Bavastro, 94
Atti del convegno "Piccoli Principi: Bambini e Comunicazione"
Zona celeste 22-5-97 - ore 14.30
IV Circ.ne - Via Monte Sacro 17 e/o Via Cervino 2
Autore: Maria Grazia Campanaro - educatrice - sociologa
Titolo del seminario: "L'ascolto attivo nella comunicazione adulto-bambino"


La tecnica dell'ascolto attivo parte dal semplice ma fondamentale presupposto che i bambini sono persone ed il suo scopo è quello di favorire una buona relazione tra l'adulto educatore ed il bambino. Spesso l'educatore anche se motivato a dare il meglio, non è stato preparato a comunicare efficacemente. Questa tecnica mette in evidenza l'importanza di una corretta comunicazione ed illustra le modalità del linguaggio dell'accettazione.


L'ASCOLTO ATTIVO NELLA COMUNICAZIONE ADULTO-BAMBINO

"In quel momento apparve la volpe.
"Buon giorno" disse la volpe.
"Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi; ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..."
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, "sono così triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata"....
"Che cosa vuol dire "addomesticare"?"
"E' una cosa da tempo dimenticata.Vuol dire "creare dei legami"..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi adomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo!"
"Comincio a capire", disse il piccolo principe. "C'è un fiore...credo mi abbia addomesticato..."(1)

Il nostro presupposto di base consiste nella consapevolezza della funzione vitale espletata, a livello dello sviluppo dell'individuo, dalla "conferma", intesa come riconoscimento reciproco del sè. Io esisto solo se questa mia esistenza ha un valore, sia positivo che negativo, per l'altro significativo, e solo se a mia volta confermo l'altro come se. Virginia Satir definisce relazione sana quella relazione in cui c'è la conoscenza e l'accettazione di sè, dei propri bisogni, desideri, emozioni e c'è la consoscenza e accettazione dell'altro come autonomo, diverso ma non inaccessibile. Michele muove i suoi primi passi cadendo ripetutamente e magari rompendo qualche oggetto. E' come se dicesse: "Mi vedo come chi è in grado di camminare da solo". Se l'educatore lo ferma invia il messaggio: "Ti vedo come chi non è in grado di camminare da solo", che equivarrebbe ad un rifiuto della definizione del sè che Michele si stava dando. Se l'educatore gli tende le braccia è come se dicesse: "Ti vedo come chi ha bisogno di aiuto per camminare, ma è capace". Per sapere se è grande o piccolo, capace od incapace, Michele dovrà avere una risposta alla definizione che dà di sè, dovrà avere una conferma all'immagine che ha di sè. Il veicolo attraverso il quale tutto questo è possibile, attraverso il quale si "creano i legami" di cui parla la volpe e si svolge il "gioco" della definizione della relazione e della "conferma" è la comunicazione. Proprio come è possibile parlare una lingua correttamente e con scorrevolezza pur non conoscendono affatto la grammatica, così tutti obbediamo alle regole della comunica­zione, ma le regole stesse, la "grammatica" della comunicazione sono qualcosa di cui non siamo consapevoli. Per comprenderne meglio le implicazioni e le modalità di manifestazione ne riassumiamo brevemente gli assiomi. Non si pùo non comunicare: qualsiasi comportamento venga messo in atto, non può non comunicare un significato e, attraverso la emissione e la ricezione di una serie precisa di informazioni, rappresenta un messaggio per gli altri. L'informazione, unità di misura della comunicazione, può passare attraverso i canali di comunicazione verbale e non verbale, ed è sempre condizionata, nel suo significato, dal tipo di contesto nel quale viene trasmessa, e dalle coordinate spazio-temporali che la includono. Con una serie di informazioni vengono inviati dei messaggi che implicano contemporaneamente due livelli logici diversi: un livello di "contenuto" ed uno "di relazione. Quando invio un messaggio, comunico un contenuto, e allo stesso tempo comunico come questo contenuto debba essere inserito all'interno di una relazione, quale è la proposta della posizione reciproca dei contraenti all'interno della relazione stessa. Abbiamo due proposte di posizione reciproca: le due persone impegnate possono definirsi in termini di uguaglianza (simmetria) e di disuguaglianza (complementarità). Facciamo un esempio: se una persona indicando il disegno di un bambino chiede: "L'hai fatto tu questo dise­gno?", il contenuto della sua domanda è una richiesta di informazione su un oggetto. Ma contemporaneamente ella da la propria definizione della relazione. La maniera in cui pone la domanda (l'espressione del viso, il tono di voce ) potrebbe indicare ammirazione o sottovalutazione, affetto o altro. Il bambino può reagire con sicurezza o difendendosi, ma in nessun caso non può non rispondere, anche stando in silenzio, al messaggio di relazione. Tornando all'esempio su esposto è importante mettere in rilievo che sul piano del contenuto (autenticità del disegno) le due parti comunicanti possono essere o non es­sere d'accordo, ma questa parte della loro interazione non ha alcun rapporto con la defi­nizione reciproca della natura della loro relazione. Laddove sul piano del contenuto, per quanto possano continuare a parlare del disegno, la comunicazione produrrà accordo o disaccordo, sul piano della relazione, si manifesterà come comprensione o come incom­prensione. Sono questi due fenomeni essenzialmente differenti: due comunicanti possono essere in disaccordo su un'affermazione ma comprendersi l'un l'altro come esseri umani e viceversa, come pure possono essere d'accordo e comprendersi l'un l'altro o fallire ad en­trambi i livelli. A questo punto diventa importante evidenziare che per un educatore è fondamentale sa­per inviare messaggi efficaci sul piano della relazione, che veicolino accettazione e non rifiuto. Molti conflitti, sono dovuti a dei malintesi, e si risolvono quando le due parti riescono a comunicare stabilendo e ricontrattando nuove regole di relazione. Il conflitto non è di per sè patologico, anzi contiene gli elementi che porteranno ad un nuovo e pià soddisfacente adattamento reciproco. Facciamo un esempio-prova.

Scrivete su un foglio di carta ciò che direste ad un bambino al quale avete chiesto di mettere a posto i giocattoli e che vi ha risposto: "No...Giovanni (indicando un altro bambino ) non mette a posto.." . Immaginate poi che, frustrato perché invece di occu­parvi di lui vi dedicate agli altri bambini, si metta a urlare: "Brutta e cattiva...". Che di­reste?
Prendiamo spunto da questa situazione per riflettere su come l'adulto non deve reagire se vuole inter-agire positivamente con il bambino.

1)DARE UN ORDINE
Dire al bambino che deve fare qualcosa, comandargli o imporgli una cosa:
"Quello che fanno gli altri bambini non mi importa. Metti immediatamente a posto!
"Ti proibisco di parlare alla tua educatrice in questo modo!"
I sentimenti, i bisogni del bambino non vengono presi in considerazione, egli si sentirà quindi non capito.

2) AVVERTIRE, MINACCIARE
Parlare delle conseguenze che avrà il suo gesto:
"Se non metti a posto i giocattoli vai subito a letto."
Il bambino, avvertendo l'ostilità dell'adulto è portato a contrattaccare oppure ad ubbidire senza convinzione.

3) MORALIZZARE, PREDICARE
Dire al bambino cosa dovrebbe fare, esortarlo a seguire determinati obblighi:
" Tu sai quello che devi fare, non è bello comportarsi così"
Il bambino si sente colpevolizzato ed irresponsabile.

4)FORNIRE SOLUZIONI
Dire al bambino come agire, sostituendosi a lui fisicamente:
"Prendi questo pupazzo e mettilo in quella cesta, poi prendi ..."
Ciò porta, se il bambino è in difficoltà, alla svalutazione di sè e alla dipendenza.

5)PERSUADERE CON ARGOMENTAZIONI LOGICHE
Cercare di convincere il bambino con fatti o contro-argomenti:
"Anche Giovanni fa male a non mettere nella cesta i pupazzi, guarda invece Luca ..."
"La cosa migliore che tu possa fare è quella di mettere al suo posto il materiale, prima di prenderne altro."
Questo messaggio umilia il bambino che si sente inferiore ed incapace.

I messaggi espressi in queste cinque categorie, vengono definiti da Gordon di "soluzione". L'adulto trasmette al bambino che deve comportarsi diversamente e gli sug­gerisce il modo.

6) GIUDICARE, BIASIMARE, CRITICARE:
Esprimere un parere negativo :
"Sei pigro e svogliato, sei tornato lattante."
"Sei il solito disordinato!"
Le critiche negative minano la sicurezza e la fiducia in sè, più sono frequenti e maggiore è il danno che ne deriva.

7) ELOGIARE, APPROVARE
Esprimere dei giudizi positivi immeritati:
"Sei simpatico, va bene, non fa niente..."
"Sei così bravo a fare tante cose, cerca di essere anche ordinato"
I complimenti e gli incoraggiamenti immeritati, così come le critiche, possono ferire il bambino che li sente falsi e come mezzo di manipolazione.

8) RIDICOLIZZARE, UMILIARE
Far credere al bambino di essere stupido, prenderlo in giro:
"Sei un piccolo maleducato, hai la bocca che sembri un pellicano"
Il bambino capisce l'ironia del messaggio e si sente offeso della mancanza di sensibilità dell'educatrice.

9) ANALIZZARE, INTERPRETARE, DIAGNOSTICARE
Dire al bambino i motivi per i quali agisce così:
"Dunque sei invidioso di Giovanni."
"Tu fai così perché vorresti che ci occupassimo di te ."
Se l'educatrice ha interpretato bene, il bambino si sentirà scoperto e indifeso, se invece ha sbagliato, si sentirà inutilmente offeso e umiliato.

10) CONSOLARE, ELUDERE IL PROBLEMA
Cercare di distrarre il bambino dalle sue sensazioni:
"Va bene, lascia stare, vai a giocare con Valentina."
Il bambino sente che viene accontentato ma non accettato e che c'è in lui qualcosa di sbagliato.

11) INTERROGARE
Cercare di trarre ulteriori informazioni:
"Non hai altri esempi che Giovanni?"
"Ma dove hai imparato a dire queste cose?"
Il bambino si sente sottoposto ad un interrogatorio e finisce col chiudersi "

12) SCHERZARE
Cercare di sviare, far disperdere il problema:
"Se non ti sta bene, scrivi una lettera all'assessore."
In questo modo si fa capire al bambino che il suo problema non è importante, che ci sono cose o altre persone che meritano più interesse di lui.

E' comprensibile che ordinare, minacciare, umiliare, da una posizione decisamente one-up, che sovrasta l'altro con lo stile educativo del piedistallo, quello autoritario, lasci espe­rienze negative nei bambino. Ormai si è appreso che un tale stile educativo porterà a sot­tomissione acritica o ad opposizione. La maggior parte delle persone sanno che un tale stile educativo crea una grande distanza, che i bambini si sentono sotto pressione e im­prigionati. Nel gruppo saranno spesso isolati rispetto agli altri bambini, dato che si creerà un clima di competizione egoistica tra di loro e soffriranno di tensioni, che pos­sono es­sere trattenute solo per un certo periodo. I bambini reagiranno tra loro con scorte­sia, minacce ed aggressioni. Questo modello educativo impedisce, è ormai risa­puto, l'autosufficienza e "prepara" i bambini a sottomettersi senza alcuna critica alle sup­poste autoritàSembra incomprensibile però che fornire soluzioni, ricorrere ad argomentazioni logiche, consolare, interrogare, scherzare risultano sbagliate. Occorre riflettere che anche elo­giare, quando il bambino non si sente degno di elogi, può essere percepito come segno di falsità. Ciò che in una relazione sana è ammesso non lo è in una relazione problema­tica. Un bambino particolarmente sensibile può essere ferito anche da un complimento.

EFFICACIA DEL MESSAGGIO-IO

I messaggi delle 12 categorie hanno un aspetto in comune: esprimono un giudizio su chi li riceve. Possono essere chiamati "messaggi del tu". Veicolano una comunicazione inef­fi­cace perché provocano ribellione ed atteggiamenti difensivi. I messaggi-io", sono quelli che esprimono il sentimento di chi trasmette. Non esprimono alcuna valutazione su chi compie l'azione, ma lo pongono di fronte agli effetti del suo atto ed ai sentimenti che pro­voca negli altri.
Questa tecnica consta di tre momenti:
1: descrizione senza giudizio del comportamento reale
2:. conseguenza del comportamento
3: sentimento che viene suscitato
Una cosa è dire: "Sei pigro e svogliato" e un'altra è esprimersi così:
"Quando non metti a posto il materiale" (comportamento)
lo devo fare io o un tuo compagno(conseguenza)
questo mi dispiace (sentimento)
Se invece di dire: "Mi dispiace", esprimiamo uno dei messaggi dei "tipici 12", il bambino interpreterà: "Sono cattivo". Se diciamo "Sono stanca", lui capisce la situazione e proba­bilmente cercherà di modificare il suo comportamento. Ma non si sentirà né criticato, né insultato.
Allo stesso modo, immaginiamo le reazioni di un bimbo che ci ha appena tirato un cal­cio. Noi risponderemo: "Ahi! Mi ha fatto molto male. Non mi va proprio di essere pic­chiata", oppure: "Cattivo! Non devi più dare calci". Nel primo caso comunichiamo un fatto che non può essere discusso (messaggio di contenuto). Nel secondo esprimiamo un giu­dizio sul bambino e gli imponiamo un comportamento (messaggio di relazione); lui può non essere d'accordo e quindi ribellarsi. Il messaggio-io, ha il vantaggio di lasciare al bambino la responsabilità di scegliere un comportamento. E' un altro modo di aiutare il bambino a diventare autonomo e maturare. Non più quindi "Tu sei" ,ma "Io sento" si­gnifica essere se stessi. L'autenticità promuove una comunicazione chiara e il rapporto non potrà non beneficiarne.

IL LINGUAGGIO DELL'ACCETTAZIONE

La maggior parte della gente è stata portata a credere che se si accetta un bambino, egli rimane proprio come è; che la migliore strada per aiutare un bambino a migliorare per il futuro è dirgli che cosa non accetti di lui ora. E' uno di quei semplici paradossi della vita: quando una persona sente che è completamente accettata dall'altra come egli è, al­lora è libero di muovere da lì e cominciare a pensare a cosa vuole cambiare, come vuole crescere, come può cambiare ecc. Accettare un altro come egli è, è un atto d'amore: sen­tirsi ac­cettato è sentirsi amato. L'amore si manifesta attraverso l'accettazione. L'accetta­zione è, quindi, tornando alla distinzione tra messaggi di contenuto e messaggi di rela­zione, un messaggio di relazione che manifesta una relazione d'amore. L'accettazione, non è qual­cosa di passivo, di statico, ma una forza attiva, che va comunicata in maniera chiara, inviando messaggi adeguati. La parola può essere un importante veicolo, ma prima di "saper parlare " occorre "saper ascoltare".
I "Tipici 12" esprimono il linguaggio dell'inaccettazione in quando comunicano al bam­bino che sbaglia, che è un incapace.
Quando ci si rende conto di quanto si faccia affidamento sui "Tipici 12", spesso la do­manda è: "Come possiamo reagire diversamente?", "Quali altre possibilità esistono?"

Gordon cita alcuni esempi:

1) Ascolto
Ogni qualvolta il bambino è impegnato, il rimanere fuori, è un tacito segno di approva­zione.
Rimanere muti, l'ascolto attento, dà la sensazione di essere approvato e da la possibilità al bambino di esprimersi. L'ascolto attento può essere accompagnato da segnali di acco­glienza non verbali (un sorriso, un cenno della testa ).


2) Apriporta
Una risposta costruttiva ed efficace alle sensazione dei bambini, è "l'apriporta", o l'invito a dire di più.
"Aha, Oh", "Davvero", Cosa dici mai", "E allora"

Nell'ascolto attivo il ricevente cerca di capire il significato del messaggio, o quello che il bambino intende. Poi cerca di formulare quello che ha capito nelle sue parole (nel suo codice) e lo ripete a chi trasmette per conferma (feedback). Il ricevente non trasmette un messaggio proprio, non dà alcun giudizio in proposito, alcuna opinione, alcun consiglio, e non fa alcuna analisi, né pone domande. Risponde solo quello, che, secondo la propria im­pressione, significa il messaggio dell'altro, né più né meno. Il bambino si sente oggetto di attenzione, non percepirà la svalutazione, ma la comprensione che gli permetterà di raf­forzare la fiducia in sè stesso e trovare da solo la soluzione ai suoi problemi. Non è una tecnica di manipolazione in modo che i bambini si comportino o pensino come l'adulto.

Esempio per l'ascolto attivo

Riccardo distrugge regolarmente le macchinine con le quali gioca. Dopo poche ore sono ammaccate, gli mancano le ruote ecc.

Educatrice: "La macchina è tutta rotta!"
Bambino: "Si, è corsa troppo veloce"
E: "La macchina andava troppo veloce"
B. :Si, ha fatto un incidente, ed è arrivata pure la polizia e l'ambulanza."
E. :"Era un incidente terribile"
B. :"Si, come in televisione!"

Poi si scopre che il bambino è rimasto molto impressionato da un programma televi­sivo. Con l'ascolto attivo, il bambino ha la possibilità di esprimere quello che sente al di là del gioco stesso.
Ovviamente, non si tratta di ripetere come un pappagallo tutto ciò che dice il bam­bino, cosa che finirebbe per irritarlo. Si tratta di riflettere sul suo comportamento e di in­terpre­tare i sentimenti che vuole esprimere. Certi adulti sentono sia le loro sensazioni che quelle degli altri come sgradevoli. Questo può portare a dimenticare di capire le reali sen­sazioni dei messaggi dei bambini. Gli uomini in genere però, vorrebbero sempre che l'al­tro capisse non solo le parole, ma anche quello che sentono quando dicono qual­cosa. Specialmente i bambini sono molto sensibili. Spesso in quello che dicono o fanno, si na­scondono anche una serie di sensa­zioni: felicità, odio, delusione, paura, amore, melan­conia, rabbia, tristezza. Quando trasmet­tono qualcosa, vogliono che l'adulto li capisca in questo senso. Gli adulti, come ascolta­tori, devono far capire al bambino che si mettono al loro posto. Se non si immedesimano, i bambini naturalmente lo sentono, e capiscono che le loro sensazioni e perciò gran parte di loro stessi non è capita. Spesso il bambino non riesce ad esprimere quello che real­mente sente e desidera (questo capita anche agli adulti). Un bambino che chiede: "Quando andiamo a dormire?" può aver sonno oppure aver voglia di "coccole privilegiate". Le ri­sposte come: "Non è ora di andare a letto", creano dei conflitti. L'ascolto attivo consiste nel rimandare il messaggio decifrato:
E: "Hai sonno?"
B: "No..."
E: "Vuoi il tuo orsacchiotto e cantare insieme la canzoncina del chicco di caffè?"
L'ascolto attivo va molto al di là dell'incoraggiamento al dialogo. I bambini sono felici di essere capiti, l'ascolto attivo li avvicina agli adulti. Inoltre essi imparano a riflettere. Se ci concentriamo sulle sensazioni che il bambino trasmette, non giudichiamo o critichiamo quello che dice, comunichiamo con un tono caldo e comprensivo, facciamo in modo di cogliere ed immaginare il loro mondo, i bambini vedono in noi una persona con la quale si può "trattare" e non avranno paura di aprirsi con noi. Svilupperanno la fiducia in loro stessi e saranno sinceri. Impareranno, cosa fondamentale, che gli uomini hanno diritto alle proprie sensazioni. Non avranno più la sensazione che gli adulti risolvono automati­camente i loro problemi e prendono le decisioni al loro posto.
Al momento dell'inserimento il bambino che piange quando la mamma lo lascia solo al nido, dopo che gli è stato ripetuto più volte che la mamma torna, generalmente cambia ri­chiesta: "Voglio Pluto". Proviamo con l 'ascolto attivo.
E: "La tua mamma ti manca?"
B: "Si"
E: "Non ti piace che vada via senza di te vero?"
B: "Si"
E: "E siccome non c'è la tua mamma, vuoi il tuo Pluto?"
B: "Si"
E: "Ma non ce l'hai e sei triste."
I bambini hanno bisogno di empatia e simpatia e quando si rendono conto che si è inte­ressati ai loro problemi, ai loro desideri, si sentono più liberi e rilassati e a loro volta sono portati ad interessarsi al processo educativo. Hanno fiducia nell'educatore e la ri­cambiano. Acquisteranno nel tempo una e coscienza di gruppo e tra di loro si comporte­ranno più cortesemente, saranno più disponibili ed impareranno a risolvere i conflitti senza violenza. Svilupperanno la capacità critica e l'autosufficienza.
In nessun caso gli adulti devono diventare gli arbitri dei conflitti tra bambini. Se si ten­gono fuori, i bambini possono imparare a risolvere da soli i conflitti. Tuttavia possiamo fare proposte per una eventuale soluzione, o incitarli a risolvere il problema.
Luca e Sara si contendono un triciclo. Entrambi urlano e Sara piange.
S.: "Voglio il camion. Dammelo! Lascialo!"
L.: "E' mio.."
Educatrice: "Vedo che state proprio litigando per il triciclo .Volete venire qui e vedere in­sieme che cosa si può fare?
L'educatrice apre così la strada per una soluzione del conflitto. Spesso i bambini risol­vono il conflitto da soli senza nessun aiuto.
E' l'ascolto attivo che aiuta i bambini a trovare da soli la soluzione ai propri pro­blemi, grandi e piccoli, sotto la guida discreta dell'adulto. A costoro si chiede di non po­lemiz­zare ma di applicare una specie di procedimento socratico. Ecco un semplice espe­ri­mento che potremo fare la prossima volta che ci capiterà di vedere un bambino piccolo battere la testa contro uno spigolo. Cominciamo col dirgli che non è nulla, che pas­serà, che è troppo grande per piangere e qualsiasi altra cosa di quelle che si dicono gene­ral­mente in queste situazioni: il bambino si metterà a piangere ancora più forte. Allora di­ciamogli: "Hai battuto la testa? Deve farti molto male". Ci accorgeremo con sorpresa che smetterà immediatamente di piangere.
Lo stesso esperimento si può fare con una persona adulta, per esempio una nostra col­lega.
Potremo verificare facilmente che frasi come "non è nulla", "passerà" e simili, scatenano una reazione aggressiva e aumentano la tensione, mentre una semplice constatazione del fatto accaduto, fatta con simpatia, ha un effetto calmante. E' vero che se la persona che ha battuto la testa fosse una persona adulta noi sceglieremmo il secondo metodo. Ma perché non fare lo stesso con il bambino? Forse perché non consideriamo i bambini come per­sone.
Proprio partendo da questo semplice concetto: "i bambini sono delle persone", Thomas Gordon ha messo a punto questo metodo educativo che si propone di indicare un nuovo modo di impostare i rapporti bambino-adulto. I bambini sanno di essere delle persone e non vogliono essere trattati come "minorati". La ricerca sulla prima infanzia ha scoperto cose sorprendenti sulla mente del bambino: il neonato non è così sprovveduto come appare, ma si pone immediatamente come sog­getto che "ha qualcosa da dire", come polo attivo della relazione che si instaura tra lui e l'adulto. Man mano che si arricchisce il suo repertorio di strumenti comunicativi gestuali e verbali il bambino diventa capace di veri e propri scambi nei quali si pone come sog­getto autonomo e cosciente dell'elemento di reciprocità presente nella relazione. Sul piano delle modalità comunicative passa da una primissima fase in cui le comunicazioni sono derivate da schemi innati di espressione del disagio (quelle che Bruner chiama "modalità bisogno"), ad una in cui si stabilizza in lui l'aspettativa di una risposta e la co­scienza di fare delle richieste. E' proprio all'interno di questo processo che il bambino costruisce uno degli aspetti più decisivi della sua autonomia: la capacità di comunicare all'adulto la sua soggettività, si potrebbe dire la sua capacità di farsi capire e di consoli­dare un'immagine di sè come persona in grado di agire sul mondo che gli sta intorno. Ma l'adulto cosa può fare per farsi capire da un neonato? "Per farsi capire dal neonato oc­corre parlare il lin­guaggio degli amanti. Degli amanti! Si, degli amanti. E cos'è che di­cono gli amanti? Non si parlano: si toccano. Sono timidi, pudichi. Per toccarsi, per acca­rezzarsi, vanno a mettersi nel buio. Spengono la luce. Oppure semplicemente chiudono gli occhi. Rifanno la notte in­torno a sè. La notte degli altri sensi. Per non essere più altro che tatto. Nelle tenebre ritro­vate si toccano. Si palpano, si sfiorano. Si circondano con le loro braccia. Rifanno intorno a sè la carne, l'antica prigione. Non fanno alcun rumore. Le parole sono talmente inutili. Al massimo si sentono gemere di piacere. Sono le loro mani a parlare. Sono i loro corpi a capire. I loro respiri che si mescolano ed esplodono di gioia. Ecco che cosa occorre al neonato. Ecco che cosa capisce. Ecco come parlargli. Toccan­dolo ,accarezzandolo. Secondo il suo respiro."(2)
Continuando la metafora, per tuffarsi in questo bagno damore, occorre spogliarsi del­l'armatura del "genitore e, come ricorda Berne, ritrovare la dimensione "bambino" che agisce in ognuno di noi come la parte più genuina della nostra personalità. Così eduche­remo con affettività allaffettività, avviando il bambino a conoscere meglio le proprie ca­pacità e a saperle utilizzare; ad avere consapevolezza dei propri sentimenti ed emozioni e a saperli adeguatamente esprimere e ,all'occorrenza controllare, a saper vivere insieme agli altri, con sincerità, serenità, spirito di collaborazione, senza sopraffare ed essere so­praffatti. In questa ottica il bambino non è più oggetto di un anonimo intervento di tipo assisten­ziale e l'intento fondamentale consiste nel favorire la costruzione della sua prima identità ,che si attua utilizzando il fuori da sè" per raggiungere la "conoscenza di sè. Attraverso la consapevolezza della diversità esistente fra il proprio corpo e quanto c'è al di fuori (persone e cose) e della propria capacità e disponibilità a comunicare con l'esterno, il bambino riesce a consolidare il proprio io ,condizione indispensabile per essere prepa­rato ad assumere norme sociali e a superare l'atteggiamento egocentrico. La frequenza dell'asilo nido può quindi favorire un'educazione alla socialità. L'educazione alla socia­lità, prospettiva pedagogica fondamentale per l'asilo nido, non è divisibile dalla conquista della propria identità. Fondamentale per raggiungere tale dimensione così profonda­mente legata alla complessa rete delle interazioni con il fuori da sè, è instaurare un va­lido le­game di attaccamento. Le teorie sullo sviluppo sociale nella prima infanzia indivi­duano nella relazione di attaccamento un elemento fondamentale per un equilibrato svi­luppo psichico, affettivo e sociale dei bambini. La figura adulta ed i legami con essa in­staurati rappresentano per il bambino il tramite attraverso il quale si inserisce nella realtà circostante. Tale relazione di attaccamento non si attiva solo nei confronti della madre biolo­gica ma anche nei confronti di figure adulte di riferimento significative e in­dagini recenti sostengono che essa si sviluppi anche nei confronti dei coetanei, già in età precocissima. Capire che tipo di rapporti e di interazioni si sviluppi tra i bambini già nei primi mesi di vita è assolutamente indispensabile sia per elaborare una programmazione che per organizzare spazialmente gli ambienti del nido, proprio in funzione delle attività, delle modalità con cui esse si svolgono e delle relazioni che si instaurano. E' all'interno di una relazione affettiva privilegiata e stabile che nascono e si fortificano nel bambino i senti­menti di sicurezza che sono alla base di una personalità equilibrata. L'educatore deve of­frire modelli positivi con atteggiamento calmo nella voce e nei gesti, non deve sostituirsi al bambino. E' fondamentale la qualità della relazione che si stabilisce. Un educatore che cerca di affinare costantemente i suoi interventi e sa mettere in discussione il proprio comportamento invia messaggi quali: "sono qui per te, con te ", "ti aiuto a fare da solo", "tu sei capace e ti sto vicino fino a che non sei riuscito nel tuo intento" "non pretendo di insegnarti delle cose ma ti aiuto ad imparare attraverso le cose". In questa di­rezione as­sume un significato particolare la cooperazione fra famiglia ed educatore. Il ruolo di quest'ultimo è quello di instaurare un rapporto di fiducia . Riassumendo, buone relazioni di attaccamento con la madre, con una o più figure di riferimento, che collabo­rino valida­mente ed in modo continuativo, sono pertanto funzionali alla strutturazione dell'identità ed allo sviluppo del comportamento esplorativo, inteso come tensione verso il nuovo, desiderio di scoperta, curiosità capacità di interagire con l'ambiente, apertura verso tutto quanto è altro da sè. L'altro parametro di riferimento, necessario per lo svi­luppo del­l'atteggiamento esplorativo è costituito dalla presenza di un ambiente fisico ricco di sti­moli. L'educatore ha, di conseguenza, come compito specifico, quello della preparazione continua e precisa dell'ambiente affinché questo diventi il tramite, il mezzo attraverso il quale il bambino possa fare esperienze e scelte a livello senso­riale, manuale, intellettivo, espressivo ecc. Un ambiente che cresca con il crescere dei bambini, che offra un equilibrio fra i momenti individuali e quelli di piccolo gruppo, tra attività proposte e guidate dall'adulto e attività libere. Ciò significa che l'educatore deve rinunciare alla propria onnipotenza ed imparare ad osservare il bambino e la sua cre­scita. L'operatore acquisterà la nuova fisionomia del ricercatore attento, dell'osservatore scientifico, cioè capace di registrare fatti per discuterli e verificarli in gruppo. Per am­biente intendiamo sia quello fisico (spazio-materiali-arredi) sia quello costituito dalle per­sone e dalle loro relazioni (adulto-bambino,bambino-bambino).La vita di comunità comporta una quantità di regole indispensabili al funzionamento or­ganizzativo, ma altrettanto importanti per l'instaurazione di un clima sereno, minima­mente ordinato dentro al quale il bambino non subisca un bombardamento caotico di stimoli contraddittori. L'interiorizzazione di queste regole (gli orari, l'uso degli spazi, la richiesta di svolgere piccole mansioni), i "riti", costituiscono un elemento importante nel processo di apprendimento e di autonomia del bambino. Chi ha un minimo di pratica educativa sa come questo sviluppo non sempre si compie in maniera lineare e progressivo, ma contenga piccole e grandi episodi di re­gressione che testimoniano la fatica del bambino nello scoprire un mondo che è così spesso minac­cioso nella stessa misura in cui è affascinante.
Minacioso e affascinante come il mondo di Schiff.
"Schiff non sapeva di essere un verme. Nella mela in cui abitava, stava bene, al caldo, e poteva passeggiare su e giù attorno al torsolo, far ginnastica, torcersi e contorcersi per mille nicchie e sentierini sconosciuti. Cibo e mondo, mondo e cibo, erano una cosa sola e tutta per lui. Un giorno gli venne un pensiero:"Chi sono io?"..Alla ricerca della sua identita Schiff uscì contorcendosi alla luce del sole mentre dal cielo lo seguivano, minacciose, milione di stelle occhiute, puntute come becchi di gallina, come ami da pesca,come artigli in grado di uncinarlo."(3)
Se la polpa della mela resta opaca ed indifferente proprio come la faccia della mamma che allattando guarda e parla a qualcun al­tro, anzichè riflettere chi è la per essere visto, se non si ha accesso all'area della comunicazione, l'unica alterna­tiva è la regressione, il ritorno, la fuga entro il ventre della mela, entro il ventre materno. Le parole, il gioco, la fiaba con tutto l'ordine del simbolico costituiscono un terreno privi­legiato di comunicazione e di incontro, un mondo transazionale che permette il lento de­finirsi della distinzione tra io e oggetto, tra mondo interno e mondo esterno, tra simbiosi e separazione, favorendo la crescita, la fiducia nella gioia della relazione d'oggetto, del­l'investimento affettivo, e la capacità di elaborare l'angoscia di separazione. Il bambino che ha avuto con chi giocare in uno spazio ed in un tempo condivisi, saprà riconoscere la propria realtà personale, avere un sè entro cui ritirarsi con una sana autostima ed autova­lorizzazione. Il gioco del bambino è un modo di trattare la realtà in maniera soggettiva, è un fare che, pur essendo simbolico, pur essendo assimilabile al sogno è reale.Il gioco ed in particolare il mondo delle fiabe presentano il problema e la soluzione del problema e tutto questo nell'unico linguaggio accessibile al bambino: quello della fanta­sia. La fiaba parla al bambino dei problemi cui ha quotidianamente a che fare: l'abban­dono, il disamore, la solitudine, la paura. E nelle fiabe i bambini vincono; vincono contro genitori crudeli, contro streghe cattive, contro figure minacciose tanto più potenti di loro: le fiabe sono per loro la voce della speranza.
"Nelle fiabe gli animali parlano, parlano le piante, il re del mare è un signore barbuto che vive sott'acqua, il sole è un dio guerriero che cavalca nel cielo, la luna una pallida signora coperta di perle, .E di questo parados­salmente il bambino non chiede mai il perchè. Che ogni elemento del mondo circostante sia animato, che la bisacce parlino e gli elefanti volini, è naturale, non necessita di alcuna spiegazione.Possiamo per una volta chiederci noi adulti il perchè. Perchè questo mondo fatato è il mondo in cui il bambino vive,quel mondo definito della "magia primitiva" in cui si sono mossi i popoli agli albori della specie e si muovono ancora gli individui agli albori della loro esistenza."(4)

NE' VINCITORI NE' VINTI

Generalmente l'ascolto attivo, il messaggio-io, una modifica dell'ambiente, un gioco libe­ra­torio, bastano a risolvere un eventuale conflitto . Ma capita a volte che il conflitto persi­sta: il bambino non vuole cambiare il suo comportamento, l'adulto mantiene la sua posi­zione, l'ambiente non ha importanza. Che cosa succede quando il conflitto persiste? Si scatena una battaglia nelle quali ci sarà un vincitore e un vinto. Gordon individua tre ca­tegorie di adulti: "The winner", "The loser", "The oscillator". L'adulto severo (winner), crede di perdere in autorità se non vince, l'adulto tenero lascia vincere il bambino per paura di traumatizzarlo (loser), l'adulto incerto passa da un ruolo all'altro alternativa­mente (oscillator). Quando un adulto vince, il bambino accetta la soluzione imposta, ma a malincuore per cui l'adulto è costretto a controllare che la metta in pratica davvero; tutto questo finisce per rendere i bambini ipocriti. Abbiamo visto gli svantaggi di uno stile educativo autori­ta­rio. Non confondiamo però l'autoritarismo, basato sulla supremazia dovuta esclusiva­mente al ruolo con l'autorevolezza, fondata sulla competenza professionale. Dall'altra parte, l'esperienza dimostra che i bambini abituati a vincere sempre, diventano vanitosi ed esigenti, non rispettano gli altri, non sono amati dagli altri bambini che li trovano prepo­tenti. Spesso gli adulti sono coscienti di quanto questi meccanismi risultino essere falli­mentari, ma non riescono ad uscire dall'impasse "vincitore-vinto". Questa alternativa esi­ste. Si tratta della tecnica : "né vincitore, né vinto". Applicando questa tecnica il conflitto di conclude con un "negoziato". Il metodo senza perdenti consiste nella ricerca comune di una soluzione: è semplicemente una tecnica di partecipazione alle decisioni. Si stabilisce una trattativa esattamente come avviene tra uomini d'affari, o tra uomini politici di due paesi in guerra. Poiché la decisione viene presa in comune non viene imposta a nessuna delle due parti, anzi aumenta il sentimento di collaborazione. E' la tecnica del problem solving.
Consta di 6 passi:
1 - Identificare e definire il conflitto
2 - Proporre eventuali soluzioni alternative
3 - Valutare le alternative
4 - Decidersi per la soluzione ottimale
5 - Sviluppare le vie della applicazione della soluzione
6 - Dopo un certo periodo di tempo, rivedere la soluzione e verificare il suo effettivo fun­zionamento.

E: Sono stanca di dover ripetere le stesse cose e sono sicura che anche tu non ne puoi più, come possiamo fare? Ho un'idea, potremmo leggere la favola di "Pan il Panda"...
B: "Si, che bello ..."
E: "Non posso leggere però se devo mettere in ordine, che ne diresti di aiutarmi, così pos­siamo andare subito sul tappetone a vedere come Pan si perde nel bosco..?

Quando il bambino partecipa personalmente alla soluzione, si sente più motivato, più in­centivato e desidera mettere in pratica la soluzione prescelta. Il bambino è fiero che si abbia fiducia in lui, esercita la sua fantasia, perde qualsiasi atteggiamento ostile, al punto che spesso, le risoluzioni dei conflitti sono accompagnate da grandi risate di gioia.

GELATI O SPINACI?

"Una certa mamma, quando il suo bambino ha mangiato gli spinaci, lo premia di solito con un gelato. Di quali ulteriori informazioni avreste bisogno per essere in grado di pre­dire se il bambino giungerà: a) ad amare o a odiare gli spinaci; b) ad amare o a odiare il gelato; c) ad amare o a odiare la mamma ?"
Se ci soffermiamo con Bateson a discutere le molte ramificazioni di questo quesito, ap­pare chiaro che le "ulteriori informazioni" di cui abbiamo bisogno riguardano il contesto in cui hanno luogo le interazioni tra la madre e il bambino. Se riconosciamo l'impor­tanza del fenomeno contesto , focalizziamo l'attenzione non più sui fenomeni intrapsi­chici, sulla monade isolata individuo, ma sui rapporti interpersonali. Chi studia il comportamento umano passa allora dall'analisi deduttiva della mente all'analisi delle manifestazioni osservabili nella relazione: il veicolo di tali manifestazioni è la comunica­zione. Attribuiamo analoga, contemporanea validità alla dimensione soggettiva e psico­logica e alla dimensione oggettiva e sociologica. I due punti di vista, quello individuale e quello sociale devono essere presi in considerazione insieme, poichè ciascuno di essi somiglia, come dice Ferreira a quello che i cinesi chiamano un chien: un uccello fanta­stico con un solo occhio ed una sola ala:occorre che i due eccelli si uniscano perchè sia possibile il volo. In questa prospettiva, con la consapevolezza della necessità di un lin­guaggio adeguato alla nuova unità di studio, non più l'uomo psicologico, concepito come entita isolata, ma l'uomo sociale il cui essere sono i suoi rapporti sociali, introduciamo il concetto di comunicazione inteso nel suo senso pragmatico, comprendente "tutte quelle operazioni con le quali le persone si influenzano reciprocamente". La comunicazione umana e quindi l'interazione si fondano su un calcolo, su un codice, su una grammatica. Proprio come è possibile parlare una lingua correttamente e con scorrevolezza pur non conoscendono affatto la grammatica, così tutti obbediamo alle regole della comunica­zione, ma le regole stesse, la "grammatica" della comunicazione sono qualcosa di cui non siamo consapaevoli. Proviamo a formulare, con Watzlawick, gli assiomi di base di que­sto ipotetico calcolo per mostrare come essi determinano l'interazione e per cercare di evitare come comunicatori e in particolare come educatori quegli errori di "grammatica" della comunicazione."


CONTENUTO O RELAZIONE?

l' idea che abbiamo di un messaggio è quella di una informazione inviata da un essere umano ad un altro. Un messaggio non soltanto trasmette informazione, al tempo stesso impone un comportamento.Se un calcolatore deve moltiplicare due cifre bisogna dargli questa informazione (le due cifre) e l'informazione su tale informazione: il comando "moltiplicale". Sulla scia di Wiener, studioso di cibernetica, Bateson rileva che ogni co­municazione presenta l'aspetto di notizia (report) e l'aspetto di comando (comand). Il comando non è altro che l'invio di messaggi volti a modificare il comportamento del ricevente. L'aspetto di notizia di un messaggio trasmette informazione ed è quindi si­nonimo del contenuto del messaggio. Dall'altra parte, l'aspetto di "comando" si riferisce al tipo di messaggio che deve essere assunto e, perciò, in definitiva, alla relazione tra i co­municanti.
Se una persona indicando il disegno di un bambino chiede:"L'hai fatto tu questo dise­gno?", il contenuto della sua domanda è una richiesta di informazione su un oggetto. Ma contemporaneamente ella da la propria definizione della relazione. La maniera in cui pone la domanda (l'espressione del viso, il tono di voce ) potrebbe indicare ammirazione o sottovalutazione, affetto o altro. Il bambino può reagire con sicurezza o difendendosi, ma in nessun caso non può non rispondere, anche stando in silenzio, al messaggio di relazione.Tornando all'esempio su esposto è importante mettere in rilievo che sul piano del contenuto (autenticità del disegno) le due parti comunicanti possono essere o non es­sere d'accordo, ma questa parte della loro interazione non ha alcun rapporto con la defi­nizione reciproca della natura della loro relazione. Laddove sul piano del contenuto,per quanto possano continuare a parlare del disegno, la comunicazione produrrà accordo o disaccordo, sul piano della relazione, si manifesterà come comprensione o come incom­prensione. Sono questi due fenomeni essenzialmente differenti: due comunicanti possono essere in disaccordo su un'affermazione ma comprendersi l'un l'altro come esseri umani e viceversa, come pure possono essere d'accordo e comprendersi l'un l'altro o fallire ad en­trambi i livelli. A questo punto diventa importante evidenziare che per un educatore è fondamentale sa­per inviare messaggi efficaci sul piano della relazione, che veicolino accettazione e non rifiuto.
Note
1)De Saint-Excupery A (1980), Il piccolo princupe, Bompiani, Mulano
2)Honneger Fresco G. (1996), Abbiamo un bambino, Red, Como
3) Arpino G. (1966), Schiff il verme, Einaudi, Torino
4)Santagostino P. (1987), Curarsi con le fiabe, Riza scienze, Milano

Monday, March 17, 2008

Dialogue forum on Internet rights


L’ Italia e Roma coniugano il Foro Romano al Forum Multimediale e la scelta della sede non è casuale. Nell’antica Roma come nella Roma del terzo millennio è la volontà di favorire il dialogo in ogni forma, anche quella virtuale, e di non ignorare l’aspetto “nobile e alto dello scambio e del costruire e del dare“ (Veltroni) che apre le porte all’Internet Governance Forum. 53 delegazioni intervenute in rappresentanza di 73 Stati. Questi i numeri che testimoniano il successo della conferenza internazionale sui diritti di internet che si è tenuta a Roma il 27 settembre 2007. Un incontro che si pone come il terzo atto di un percorso partito con un piccolo seminario sulla necessità di una Carta dei diritti della rete, proposto e gestito interamente dalla delegazione Italiana (in particolare da Fiorello Cortina e Stefano Rodotà – Università degli Studi di Roma - La Sapienza) al Summit mondiale sulla Società dell'Informazione a Tunisi nel 2005, proseguito ad Atene nel corso dell'Internet Governance Forum dell'ottobre 2006, durante il quale il tema della Bill of Right di Internet è divenuto argomento portante di uno dei 30 workshop ufficiali e che dovrebbe proseguire, dopo Roma, con l'Internet Governance Forum di Rio de Janeiro dal 12 al 15 novembre. Un incontro importante, dunque, non solo per il tema, ma soprattutto in quanto testimonianza concreta della capacità del nostro Paese di spostare l'attenzione del dibattito sulla governance di internet da una questione di tecnologie ad una questione di Diritti.
La Conferenza ha dato seguito alla proposta che il Governo italiano ha avanzato al primo IGF lo scorso anno ad Atene: riunire rappresentanti del Governo, società civile, settore privato, accademia e comunità tecniche internazionali, ossia tutti gli stakeholder della Rete, per trovare le risposte a una serie di domande, che non attengono soltanto alla libertà di Internet, ma, nella società della conoscenza, hanno a che fare con lo sviluppo economico dei Paesi e, soprattutto con la tutela della democrazia per la nuova cittadinanza digitale e globale.
E’ l’ars associandi il vero fondamento della pienezza democratica e la Rete è “specchio e cartina di tornasole” del grado di democrazia di un paese nelle prime parole di Veltroni che apre il summit salutando un pubblico internazionale. Sono le relazioni che fanno comunità di interessi, di impresa, di territorio, di solidarietà, di reti sociali ecc. Nella società dell’informazione, dove è la conoscenza a fare le carte, Internet è un bene comune come l’acqua, la luce e il gas e fenomeni quali il giornalismo dal basso, le esperienze Wiki, sono un bene da coltivare. Ci ricordano che non ci sono “acque territoriali” nella rete e che sono necessari dei concetti nuovi per pensare ai mutamenti in atto sul piano della partecipazione politica a seguito della diffusione delle nuove tecnologie. E’ necessario abbandonare ”scenari invecchiati”. Sono maturi i tempi di un “Welfare.2”. La democrazia decolla verso un “punto due”, quello della democrazia elettronica. Quale scenario per le pubbliche amministrazioni? E’ la domanda che si pone il Ministro Nicolais.
Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno apportando all’azione delle PPAA elementi di assoluta novità anche sul piano giuridico. Il modello teorico dello Stato di diritto, sotto la spinta multidimensionale delle ICT affronta nuove sfide, e l’impegno diventa quello di individuare nuovi modelli sostenibili, inclusivi e realmente efficaci per il riconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini.
Il diritto pubblico, anche sul piano istituzionale, può rappresentare la via per bilanciare i rischi di un programma tecnologico non sostenibile. Nicolais si sofferma sulla tutela dei minori.(aspetto interessante ai fini del lavoro che il nostro dipartimento propone).
In questo scenario la scelta è quella di mettere il cittadino al centro non più visto come punto finale di un processo. Il tentativo sarà quello di utilizzare la tecnologia in modo che essa stessa si adatti alle persone, e non viceversa, fino a scomparire, al limite, perché è divenuta veramente familiare. In tal senso si opererà per offrire servizi di alta qualità che sfruttino al meglio le piattaforme operative e tecnologiche in fase di costituzione. Il Welfare.1, muovendosi verso il Welfare.2 spinge a cogliere le caratteristiche delle forme della comunicazione pubblica attraverso la rete, evidenziandone potenzialità e limiti. Accanto all’esigenza di riconoscere la libertà di espressione, di circolazione e fruizione dei contenuti di una rete che è divenuta sempre più capace di “creare dal basso”, a partire cioè dalle capacità e potenzialità degli stessi utenti, occorre tener conto delle esigenze di protezione dei dati personali, tutela dei diritti dei minori, salvaguardia delle categorie vulnerabili, rispetto della diversità culturale. Spicca la proposta di avanzare verso una “Carta dei diritti di Internet” . E’ una proposta che l’Italia caldeggia –assieme a molti altri governi ed attori della società civile - poichè rappresenta il tentativo di fissare in modo ampio e democratico i principi di riferimento ad un codice di condotta condiviso per lo sviluppo di Internet. L’assenza di regole non è sinonimo di libertà, afferma la senatrice Beatrice Magnolfi, anzi spesso e l’affermazione del più forte a scapito del più debole, pensiamo a chi, come i pedofili, utilizza Internet come strumento di inganno e sopraffazione nei confronti dei minori. Il futuro della globalizzazione si gioca nella Rete ma non è vero che Internet è di tutti: dobbiamo lavorare affinché lo diventi.

Spunti di riflessione ed ipotesi di lavoro
“Famiglia al centro” e “Internet sicuro” sono due slogan portanti delle direttive politiche del Governo e delle comunità internazionali. Concentrano l’ipotesi di una serie di interventi a favore della “famiglia” e della “conoscenza”. Le Politiche di Promozione della Famiglia, sull’onda dell’approccio proposto nella giornata possono muoversi verso un “Family Governance Forum”. Lo slogan non vuole essere la fotocopia dell’ IGF, ma ha uno scopo affiliativo, che ricalca l’onda proposta ma che svilupperà un proprio logo, un proprio programma ecc. Chissà se la direzione ritiene opportuno che continui ad indagare sul tema (governance-famiglia-conoscenza e possibili sviluppi sia sul territorio che in ambito virtuale) !!!